PREMESSA


NOVITA': è ora disponibile il libro anche nel formato ePub per Tablet e Kindle. Nella versione e.book, tramite dei link inseriti nel testo, si può accedere direttamente ai filmtrailer o agli spezzoni video relativi ai film e ai dialoghi citati.


I film amplificano la nostra vita, ci consentono di capire la nostra storia, la nostra evoluzione ed anche noi stessi. Per questo li amiamo.

Negli ultimi anni, a fianco dei film d’azione (colossal storici, film di fantascienza, thriller, ecc), si è andata sempre più ampliando la categoria dei film che rappresentano la vita di tutti i giorni, in tutte le sue sfaccettature: pellicole sull’amicizia, sulla famiglia, sull’emancipazione femminile, sul nuovo maschio, sui problemi di lavoro e, soprattutto, sui problemi e le difficoltà delle relazioni sentimentali. I film d’attualità sono così un preziosissimo strumento per la lettura dei mutamenti sociali, culturali e comportamentali in atto. Lo svago diventa cosi' anche momento educativo, ma il cinema può essere ancora di più: attraverso il racconto dei fatti e delle emozioni, con la capacità descrittiva delle immagini, oltre che delle parole ed il massiccio potere evocativo della musica, può essere anche strumento terapeutico.
In particolare i film a carattere sentimentale stanno diventando sempre più intelligenti e raffinati, raccontano le difficoltà quotidiane dei rapporti di coppia, propongono nuove e sempre più acute analisi. Anche dietro storie che sembrano banali, e in film poco valorizzati dalla critica cinematografica, spesso vi sono indagini profonde sui malesseri psichici e dell’anima, sugli attuali problemi sociali e sugli stereotipi culturali da abolire.

N.B. I commenti non si propongono come recensioni dei film dal punto di vista cinematografico, nè si valuta la qualita' della pellicola, ci si limita a fornire una interpretazione della trama secondo i punti di vista del libro. Interpretazione con la quale ognuno può confrontarsi anche esprimendo un proprio parere.

*** Tramite questo blog l'elenco dei film suggeriti nel libro viene continuamente aggiornato con quelli di nuova programmazione. Intercalati alla segnalazione delle pellicole vengono riportati nuovi eventi, tendenze e pubblicazioni che riguardano i temi trattati nel testo. L'obiettivo è quello di continuare a monitorare l'evoluzione in corso nel campo delle relazioni di coppia e ad aggiornare il libro.***

domenica 20 novembre 2011

UNA SEPARAZIONE, regia di Asghar Farhadi

con Sareh Bayat, Sarina Farhadi, Peyman Moadi. drammatico, Iran 2011 
                                                            Locandina tratta da Mymovies

scheda film Mymovies
trailer film da Mymovies



Il film si svolge in Iran e racconta delle vicissitudini di una coppia in crisi che decide di separarsi. Si tratta di una coppia colta, benestante ed evoluta che incarna il processo di emancipazione femminile avviato dall'occidentalizzazione del paese promossa dalla dinastia Pahlavi.
Le vicende di questa coppia s’incrociano con quelle di un’altra, di ceto inferiore, rigidamente ancorata invece alle tradizioni islamiche imposte dai regimi successivi.
Oggi, infatti, le donne in Iran sono assoggettate a un severissimo codice del costume che le obbliga a portare abiti che coprono totalmente i capelli e il corpo e che vieta loro di lavorare senza il permesso del marito (al quale sono totalmente subordinate). Ambedue le anime dei differenti regimi convivono nell’attuale società, creando non pochi problemi.
La protagonista - la donna evoluta che - trasgredendo alle imposizioni - indossa solo un semplice foulard, non sopporta più il regime di repressione impostole e non vuole più vivere in questo Paese, né farci crescere sua figlia.
Il marito però non vuole seguirla, ufficialmente per stare vicino all’anziano padre malato di Alzheimer, ma evidentemente anche perché non sposa la causa dell’emancipazione femminile e delle necessità di sua moglie.
Lei allora simula una separazione, sperando di forzargli la mano, e ci rimane malissimo quando vede che lui è disposto a lasciarla andare per restare nel suo Paese con il padre e la figlia.
Lui, rimasto solo, è costretto ad assumere una donna che assista il padre malato mentre è al lavoro, una donna che - per necessità- decide di lavorare di nascosto dal marito, trasgredendo così le regole imposte dal Corano al quale è totalmente assoggettata.
La presenza di questa donna - che nasconde la sua gravidanza sotto l'ampio chador - da' il via a una serie drammatica di equivoci con conflitti che diventano non solo culturali, ma anche di classe.


Il film, quindi, racconta la storia di una crisi coniugale, ma è anche metafora delle contraddizioni interne a una società' in bilico tra passato e futuro, tra legami con le tradizioni e il fondamentalismo religioso, da una parte, ed emancipazione e occidentalizzazione, dall'altra.
Ambedue le coppie si amano ma non si ascoltano, e nello scontro tra i due mariti affiora lo scontro di classe. In realtà tutti hanno ragione e tutti hanno torto, ma invece di cercare di capire le ragioni dell’altro, ognuno si polarizza sulle proprie convinzioni e, soprattutto, mente, con tutte le variazioni che connotano e motivano la menzogna.
C'e' chi racconta bugie, chi omette, chi lo fa per necessità, chi per pietà, perché gli conviene, a volte senza rendersi conto di mentire anche a se stesso.
Il film in modo mirabile dimostra come la menzogna, anche se detta a fin di bene, sia ugualmente dannosa perché genera incomunicabilità. Qui le mogli mentono ai rispettivi mariti, i mariti e i testimoni dell'accaduto ai giudici, il padre al nonno e alla figlia, sarà solo quest'ultima - una ragazzina di dodici anni - a esigere la verità e, così, a far uscire tutti dal conflitto esplosivo che il groviglio di menzogne aveva causato.
Dal conflitto di classe se ne uscirà offrendo dei soldi, ma non dal conflitto della coppia; sarà quest’adolescente - che incarna le nuove generazioni - a pagare il prezzo degli egoismi, delle menzogne, dell'incapacità di dialogo ma anche della non raggiunta parità di chi l'ha preceduta.
Si trova così, da sola, a dover decidere se stare con il padre o andarsene con la madre, e cioè se scegliere tra il vecchio e il nuovo.
Il film, molto ben costruito e recitato, coinvolge come un film giallo pur raccontando una storia di tutti i giorni, parla dell'Iran, ma afferma alcuni concetti che riguardano da vicino anche tutti noi e sui quali è necessario riflettere:

- la partita, a tutti i livelli, da quello personale a quello sociale, oggi si gioca sull'emancipazione femminile, sulle nuove connotazioni di questo processo e sulla necessità che siano innanzitutto le donne a fare chiarezza dentro se stesse
- le numerose crisi di coppia hanno spessissimo alla radice questo processo non ancora compiuto: la parità di fatto non è ancora del tutto metabolizzata anche dagli uomini apparentemente più evoluti, ma le donne non sanno ancora cosa vogliono veramente
- i disequilibri interni alla coppia si riflettono sulle società e viceversa

e soprattutto,

- l'unico modo per uscire dalle attuali drammatiche e pericolosissime polarizzazioni, personali e sociali, è la verità, la capacità di ascolto, la comprensione delle ragioni dell’altro, la chiarezza sugli obiettivi da raggiungere e la capacità di mediare.

L'attuale generazione sta portando l'umanità alla rovina e i figli - a volte assai più maturi dei genitori, come l’adolescente del film - guardano dubbiosi al loro futuro. Toccherà loro decidere quale strada percorrere, quella della distruzione o della rinascita, ma con una nuova consapevolezza: l'amore, a qualsiasi livello, esige onesta e verità. Per incontrare l'altro nella sua interiorità, cosa cui tutti aspiriamo, è necessario imparare a rapportarsi all’altro senza mistificazioni e trovare dentro di se il giusto equilibrio tra desiderio di autonomia e rinuncia, non più' come sottomissione, ma come scelta.


vedi nel libro "NON TI AMERO' COSI' PER SEMPRE" ,  Parte seconda, pag 79 cap. 5: -La separazione e pag 141 cap 7- Le nuove coppie: insieme liberi .


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sabato 30 luglio 2011

THE TREE OF LIFE (L'albero della vita), regia di Terrence Malick.

con Brad Pitt, Sean Penn, Jessica Chastain, Fiona Shaw, Joanna Going. Drammatico,  India, Gran Bretagna 2011.
  Locandina tratta da MyMovies
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Il film inizialmente sembra raccontare la storia di una classica famigliola americana degli anni 50: un padre amorevole, ma molto duro nei metodi educativi, una madre molto dolce e sottomessa al marito, e i loro tre figli.
In realtà la storia di questa famiglia è solo l’occasione per una riflessione sulla vita e sul ruolo che la famiglia - o meglio il maschile (la natura) e il femminile (la grazia) - ha nel processo di crescita e di consapevolezza di Jack, il figlio più ribelle ("Padre. Madre. Voi due siete in lotta dentro di me. E lo sarete sempre."), crescita che passa anche attraverso il grande dolore per la perdita del fratello in guerra (probabilmente in Vietnam).
L’evoluzione di Jack e la storia della famiglia a loro volta sono lo strumento che il regista usa per interrogarsi sulla vita, sulla morte e sulla destinazione finale.

Il vero messaggio del film è, infatti, quello di ricordare come la vita di ognuno occupi uno spazio temporale ben preciso all’interno dell’evoluzione umana e del cosmo, questo è lo scopo dei flash visivi e sonori che intervallano la narrazione centrale con l’obiettivo di suscitare un’emozione intensa nel sentirsi parte di un universo che evolve e di uno scopo che probabilmente trascende le singole vite.
La consapevolezza che Jack sembra pian piano maturare nei suoi interminabili silenzi, di fare parte di qualcosa di più grande lo porterà a intravedere un ponte tra la sua dimensione reale e quella dell’aldilà dove ora si trova suo fratello e qui il film sembra così anch’esso aprire, come i recenti “Hereafter” di Clint Eastwood, e “Biutiful” di Inarritu, uno spiraglio su una possibile vita oltre la vita.
Il film, in modo raffinato – ma forse troppo pedante e criptico per i più (del resto lo scontroso regista sembra voler parlare più con se stesso che con gli spettatori) - sembra voler dimostrare, attraverso la recitazione silenziosa del personaggio centrale, interpretato da Sean Penn (in questo ruolo un filo sprecato) come sia necessario andare oltre alla dimensione privata per arrivare alla comprensione profonda del significato e dell'importanza dell’amore ("Se non ami, la tua vita passerà in un lampo "), del dolore e delle loro implicazioni evolutive.

vedi nel libro "NON TI AMERO' COSI' PER SEMPRE" pag 87, seconda parte cap. 1: “Perché cambiare il punto di vista: dal microcosmo delle relazioni al macrocosmo dell’evoluzione in atto”.

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venerdì 15 luglio 2011

ANGELE E TONY, regia di Alix Delaporte


Locandina tratta da MyMovies

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Lei, un personaggio dolcissimo - lo si capisce poco per volta - ha una sola motivazione nella sua vita ormai distrutta: l’amore per suo figlio. A tutti costi deve farselo riaffidare dai servizi sociali che glielo hanno tolto e per questo ha la necessità di sposare qualcuno, non ha importanza chi sarà quello che risponderà al suo annuncio matrimoniale.
Lui invece, un semplice pescatore, vuole una moglie perché a una certa età si usa così, una persona con la quale condividere la vita.

Non sono molti i film che raccontano una storia d’amore fuori dagli schemi dell’amore romantico; questo è uno dei pochi, utile per sviluppare una controcultura dell’amore.
Non è, infatti, la storia di una grande passione, ma di un incontro che nasce dall’esigenza di una reciproca necessità di avere una persona da sposare.
Tolte tutte le sovrastrutture dell’amore romantico e della passione carnale, rimane solo l’incontro profondo tra due anime semplici e disperate.
Lei è abituata a rapportarsi con gli uomini solo con il sesso, è solo quello che loro in genere vogliono da lei. Appena uscita dal carcere per un delitto, probabilmente non commesso, cui il film appena accenna, “compra” persino un giocattolo per il compleanno di suo figlio concedendosi a un venditore ambulante. E’ una persona distrutta, non ha più dignità, vive solo per riavere suo figlio; con un Ego a pezzi non ci sono le basi per una grande passione, che invece dell’Ego si alimenta.
Lui è un uomo semplice, ma un uomo vero, un uomo temprato dalla dura vita in mare. Per lui il sesso viene dopo, prima viene l’intesa, che sa essere indispensabile per condividere una vita insieme.
(Lei si offre pensando che anche lui voglia solo il sesso da lei e lui le dice: "mi hai preso per un coglione ?")

Le passioni sono frutto dell’Ego e pertanto caduche, mentre l’amore vero è oltre, molto oltre le emozioni, esso è equilibrio, profondità, accettazione senza condizioni, è duraturo ed è il risultato di uno spessore interiore e di una maturità personali acquisiti non senza prezzo, come nel caso dei due personaggi del film.
Un film che fa pensare quindi a come i matrimoni combinati di una volta o forse anche quelli odierni combinati da agenzie matrimoniali, quando basati sul rispetto e sulla reciproca accettazione possano essere forse più duraturi di quelli che scaturiscono dalle illusioni dell’amore romantico, dalle errate aspettative che impediscono, di fatto, quasi sempre di vedersi e di accettarsi per quello che si è.

Uno splendido esempio di "amore senza essere innamorati" (R. Barthes "Frammenti di un discorso amoroso")

vedi nel libro “NON TI AMERO', COSI', PER SEMPRE” Parte prima, Cap. 1. Coppie scoppiate, pag 15 e Parte seconda, Cap. 7  Le nuove coppie insieme liberi, pag. 142 

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sabato 1 gennaio 2011

{Film in DVD} - PARTE PRIMA

SCENE DA UN MATRIMONIO: LA SITUAZIONE E LE DINAMICHE ATTUALI

  1. Le fasi del rapporto attuale: gioco, commedia, dramma
  2. Sulla superficialità odierna dei matrimoni, le paure nei confronti del matrimonio, sui Singles, sui Playboy redenti, sui matrimoni combinati
  3. Maschere, proiezioni, sdoppiamento della personalità, desiderio di essere amati fino all’ ossessione, sono difetti della personalità che minano i rapporti
  4. Violenze interne alla coppia e rapporti di dipendenza (amori dannosi)
  5. Sui condizionamenti e sulla crisi della famiglia
  6. Sulla gelosia, sui tradimenti e sulla passione
  7. Coppie scoppiate: sulla noia, sui litigi e sui divorzi
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1) Le fasi del rapporto attuale: gioco, commedia, dramma

-“Scene da un matrimonio” (Scener ur ett aktenskap), regia Ingmar Bergman, con Liv Ullmann, Erland Josephson, Bibi Anderson, drammatico, Svezia 1973
(CRITICA ***, PUBBLICO ***)
(Sulla trasformazione dell’amore)

Radiografia della coppia tipica intellettuale, di matrice borghese e del suo percorso, ormai un classico: dalla felicità coniugale, alla incomunicabilità, al tradimento ed abbandono fino al divorzio. Dopo sette anni si rincontrano: ognuno ha una nuova famiglia, ma scoprono che si amano ancora, ma in un modo diverso.
Il film fa intravedere che esistono varie fasi del matrimonio, ma anche che la crisi può preludere a una capacità di amare in modo più maturo.

-“Io e Annie” (Annie Hall), regia Woody Allen, con Woody Allen e Diane Keaton, commedia, Usa 1977
(CRITICA ****, PUBBLICO ****)
(sulle difficoltà attuali nelle relazioni di coppia)

Il film racconta la relazione tra un attore ebreo perennemente in analisi e una ragazza di buona famiglia.
Un film che racconta come all’iniziale innamoramento poco per volta si sostituisca una incompatibilità e divaricazione di opposti desideri forse dovuti anche alle diverse origini famigliari.

-“Il più bel giorno della mia vita”, regia Cristina Comencini, con Virna Lisi, Margherita Buy e Luigi Lo Cascio, sentimentale/drammatico, Italia 2002
(CRITICA **½, PUBBLICO ***)
(coppie di varie generazioni e di vario genere a confronto con la crisi di coppia e il tradimento, sui rapporti famigliari e la loro complessità, sulla casa come luogo dei ricordi)

Tutti i membri di una famiglia, madre vedova, due figlie e un figlio, si ritrovano nella vecchia casa della madre nella quale sono conservati i ricordi che tengono unite le varie coppie; ognuna delle quali, sebbene di generazioni diverse, alle prese con l’insoddisfazione, la monotonia o la crisi della propria vita coniugale.
La vita è piena di maschere e finzioni, la sofferenza e l’incertezza sono forse inevitabili, ma forse si possono superare. Un film che apre uno spiraglio sull’evoluzione in corso dichiarando la superficialità e la formalità dei rapporti del passato e le difficoltà delle coppie attuali in questa fase di transizione.

-“Crimini e misfatti” (Crimes and Misdemeanors), regia Woody Allen, con Woody Allen e Mia Farrow, commedia, USA 1989
(CRITICA ****, PUBBLICO ***)
(fusione tra commedia e tragedia nelle relazioni di coppia)

Il film racconta la deriva morale ed esistenziale della società americana alle soglie del Duemila, dove il matrimonio è sempre di facciata e privo di contenuti. Tutti i personaggi sono caratterizzati infatti da una cecità generalizzata, nessuno
sa più vedere l’altro, perché vede solo i propri interessi, tutti sembrano perfettamente aderire alla diffusa morale opportunista e perbenista americana. Solo a tratti sembra emergere un po’ la coscienza mentre aleggia il timore dell’infanzia che “Dio ti veda“.
Il film se da un lato sembra pessimista nel concludere che forse è diventato cieco anche Dio (e non a caso, uno dei due personaggi principali è un oculista), dall’altro, ma solo in chiusura, sembra confidare in un cambiamento reso possibile dalle nuove generazioni che forse sull’amore potrebbero cominciare a capire qualcosa di più.

-“Cinqueperdue” (5x2 cinq fois deux), regia François Ozon, con Valeria Bruni Tedeschi, Stéphane Freiss, commedia sentimentale, Francia 2004
(CRITICA *½, PUBBLICO **)
(anche se raccontati al contrario i momenti importanti del matrimonio sono 5 che scandiscono sempre le stesse quattro fasi)

Dal divorzio, la nascita di un figlio, il matrimonio, la passione, all’innamoramento del primo incontro.
Il film sembra non voler dare alcuna via d’uscita: i cinque momenti importanti di una coppia, solo se raccontati al contrario,
finiscono con un lieto fine!

-“Manuale d’amore” , regia Giovanni Veronesi, con Carlo Verdone, Luciana Littizzetto, Silvio Cuccino, Margherita Buy, Sergio Rubini, commedia, Italia 2005
(CRITICA **, PUBBLICO ****)
(un altro film sulle quattro fasi dell’amore)

Il manuale d’amore, al quale fa ricorso il marito abbandonato dell’ultimo episodio, dà utili consigli per affrontare le quattro fasi che scandiscono le relazioni, ed anche il film:
- l’Innamoramento, dal primo incontro al matrimonio, con tutto il suo entusiasmo, la sua poesia, ma anche cecità;
- la crisi, dal matrimonio al primo figlio, con il crollo delle maschere e delle aspettative;
- il tradimento, con tutta la sua banalità e incapacità di saper gestire le emozioni devastanti che scatena;
- l’abbandono, con la devastazione dovuta alla totale impreparazione ad affrontare la crisi di coppia;
Serve proprio un manuale per capirci qualcosa, per non sbagliare e soffrire di meno!

Il film, più di altri, apre uno spiraglio sul futuro delle coppie, sulla necessità di rispetto delle reciproche autonomie e sulle nuove regole per stare insieme: né troppo vicini, né troppo lontani.

-“Melinda, Melinda”, regia Woody Allen, con Radha Mitchell e Will Farrell, commedia, USA 2004
(CRITICA *****, PUBBLICO ***)
(sulle maschere e una visione contemporaneamente comica e drammatica delle pene d’amore)

Quattro sofisticati artisti newyorchesi sono a cena, ed un aneddoto scatena una discussione tra gli scrittori Max e Sy sulla duplice natura del dramma umano, simbolizzato dalla maschera teatrale comica/drammatica.
Da qui prende forma un racconto comico, che viene poi contrapposto a una versione drammatica della stessa storia, in cui la protagonista è sempre una donna enigmatica di nome Melinda.
La miscela di dramma e comicità della vicenda raccontata riprende i caratteri ricorrenti di tutti i film di Allen sul tema della coppia: la fragilità e insicurezza femminile, la nevrosi, l’imprevedibilità della vita, i meccanismi morali e sociali che la condizionano, ma in questo caso il film sembra alludere, come già gli altri, alla necessità di saper prendere tutto con più leggerezza e con più equilibrio.

-“Uomini e donne, amori e bugie”, regia Eleonora Giorgi, con Ornella Muti, Paolo Giommarelli, commedia/drammatico, Italia 2003
(CRITICA *, PUBBLICO *)
(sulle dinamiche classiche di un matrimonio in declino)

Il film racconta la storia di una famiglia anni ‘60 qualsiasi con bambini irrequieti e suoceri e genitori, cani e gatti, e il classico mobbing di un marito maschilista nei confronti di una moglie casalinga succube ed affaticata.
Anche in questo film, come in altri del genere, il mobbing del marito servirà per obbligare la donna ad uscire dal suo ruolo subalterno e a rivendicare una propria autonomia.

-“Riprendimi”, regia di Anna Negri, con Alba Rohrwacher, Marco Foschi, commediadrammatico, Italia 2008
(CRITICA ***½, PUBBLICO *****)
(sulle difficoltà di relazione che si sommano oggi a quelle di due lavori precari)

E’ la storia di una giovane coppia, Giovanni e Lucia, entrambi lavoratori precari nel mondo del cinema che si prestano a far girare un documentario sulla loro vita. Giovanni “ha bisogno dei suoi spazi” e decide di lasciare la moglie e il figlioletto.
La troupe continua la ripresa anche se i due si separano come testimonianza di come la precarietà del lavoro della attuale generazione aggravi le difficoltà relazionali dovute alla totale immaturità.
In realtà traspare anche qui un maschio più immaturo della donna, un’altra donna, per poi trovarsi allo stesso punto dal quale era fuggito.

2) Sulla superficialità odierna dei matrimoni, le paure nei confronti del matrimonio, sui Singles, sui Playboy redenti, sui matrimoni combinati

-“Harry ti presento Sally” (When Harry Met Sally...), regia Rob Reiner, con Billy Crystal e Meg Ryan, commedia, Usa 1989
(CRITICA ***, PUBBLICO *****)
(possono un uomo e una donna essere solo amici?)

Una storia di un lui ed una lei, ambedue Single, alle prese con la difficoltà delle relazioni e la paura dell’impegno Per ben 10 anni i due si incontrano sempre casualmente e poi si lasciano, nasce così un’amicizia che nel tempo diventerà amore.
Il film gira attorno alla domanda se un uomo e una donna possono essere solo amici. La finale sembra dire di no; infatti, attraverso l’amicizia si arriva a raccontarsi come veramente si è senza maschere o trappole; ma la verità, l’onestà e l’apertura è il punto di partenza per il vero amore.

-“Casomai”, regia A D’Alatri, con S.Rocca, F.Volo, G.Nunziante, commedia Italia 2002
(CRITICA **½, PUBBLICO ***½)
(Un invito a unioni più consapevoli)

Il prete il giorno del matrimonio avverte che le tappe sono ormai scontate: innamorarsi, sposarsi, fare un figlio, crollare sotto lo stress di figli e lavoro, e alla fine separarsi. Siete proprio sicuri di volervi sposare?
Il matrimonio è un gioco di squadra e la sintonia di una coppia è quella di due pattinatori sul ghiaccio, non è facile, ma possibile mantenersi in equilibrio. Uno dei tanti film che invita a superare la paura, ma senza fornire strumenti per farlo.

-“Singles. L’amore è un gioco” (Singles), regia Cameron Crowe, con Kyra Sedgwick, Campbell Scott, commedia, Usa 1992
(CRITICA **, PUBBLICO **)
(un’ analisi sulla condizione dei Singles)

La storia di tre donne singles e le loro storie d’amore.
Una riflessione sulla solitudine dei Singles: ma chi l’ha detto che i Singles sono felici?

-“Prima o poi mi sposo” (The Wedding Singer), regia Adam Shankman, con Jennifer Lopez e Mtthew McConaughery, commedia sentimentale, Usa 2001
(CRITICA *½ PUBBLICO **)
(sulla paura del matrimonio, meglio un matrimonio organizzato o la libera scelta?)

Una organizzatrice di matrimoni, di famiglia italiana meridionale, è Single ma è triste; ha paura del matrimonio ed è incerta tra matrimonio organizzato o scelta per amore.
Il film sembra interrogarsi, senza tuttavia riuscire a dare risposte, sul perché i risultati della libera scelta del partner non hanno dato risultati migliori rispetto ai precedenti matrimoni combinati; perde così l’occasione di evidenziare che di fatto ai precedenti condizionamenti famigliari se ne sono di fatto solo sostituiti di nuovi e più subdoli perchè ad essi è difficile opporsi in quanto subiti in modo del tutto inconsapevole. Le proiezioni e le errate aspettative, causate dalla cultura romantica dell’amore, sono infatti le principali cause di questo fallimento.

3) Maschere, proiezioni, sdoppiamento della personalità, desiderio di essere amati fino all’ ossessione, sono difetti della personalità che minano i rapporti

-“L’Avversario” (L’adversaire), regia Nicole Garcia, con Daniel Auteuil, drammatico,
Francia/Svizzera/Spagna 2002
(CRITICA ***, PUBBLICO **)
(sulle maschere)

La vera storia di un uomo che, schiacciato dalle proprie menzogne, raccontate per paura di deludere chi gli sta accanto, nel 1993 uccide tutta la sua famiglia prima di tentare il suicidio.
Un film che avvisa sulla pericolosità dell’indossare una maschera.

-“A tempo pieno” (L'Emploi du temps), regia Laurent Cantet, con Urelien Recoing, Karin
Viard, drammatico, Francia 2001
(CRITICA ***½, PUBBLICO **)
(sulle maschere e le bugie)

Un altro film che racconta la storia di un uomo, totalmente identificato con il suo lavoro che, a tempo pieno, racconta menzogne alla famiglia sul suo lavoro perché non ha il coraggio di dire e di ammettere che è stato licenziato.
Il film racconta il disagio e le paure di chi ha costruito tutto sul lavoro, anche la sua identità e la relazione, formale, con la moglie e i figli; una prigione dalla quale è difficile fuggire.

-“Se scappi ti sposo” (Runaway Bride), regia Garry Marshall, con R.Gere e Julia Roberts, commedia/sentimentale, USA 1999
(CRITICA *½, PUBBLICO *****)
(sulla mancanza di una propria identità e sulla conseguente tentazione di sottomettersi alle aspettative degli altri per farsi accettare)

Lei tenta più volte di sposarsi, ma quando sta per andare all’altare scappa, finchè incontra un giornalista che le fa capire che la 170 sua paura è dovuta al fatto di indossare sempre una maschera per essere come l’altro desidera, non riuscendo  
mai ad essere se stessa.
Film leggero su un tema importante: quello della necessità di scoprire la propria individualità, di superare la tentazione di mascherarsi e sottomettersi alle aspettative dell’altro, dell’autonomia psichica che le donne devono oggi conquistare come base per un matrimonio equilibrato e consapevole.

-“Passion of mind” (Passion of mind), regia Alain Berliner, con Demi Moore, drammatico, Usa 1999
(CRITICA **, PUBBLICO **)
(sull’ambivalenza della personalità)

È la storia di due vite simili e parallele, una realmente vissuta e l’altra, forse, solo sognata.
Il film lascia aperto il dubbio tra sogno e realtà e racconta della necessità di esplorare la parte nascosta di se stessi. In molti film il doppio reale oppure onirico è una costante quasi un genere. In questo caso lo sdoppiamento è funzionale a raccontare gli aspetti di ambivalenza della personalità di ognuno.
Sullo sdoppiamento onirico vedi anche: “Eyes wide shut. Sogno ad occhi aperti”

-“M’ama non m’ama” (A la folie…pas du tout), regia Laetitia Colombani, con Audrey Tautou e Samel Le Bihan, drammatico/sentimentale, Francia 2002
(CRITICA **, PUBBLICO **)
(sull’amore dell’Amore e sul bisogno, e desiderio, di essere amati)

Una ragazzina s’ innamora perdutamente di un suo vicino, un medico sposato che con lei è stato solo gentile, ma non la ricambia.
Il film racconta anche in questo caso una passione della mente, l’amore dell’Amore, una vera e propria malattia, che ha radici nel profondo bisogno e desiderio di essere amati.
Un bisogno che tutti hanno, ma che in alcuni casi diventa un’ ossessione per chi ama e un pericolo per chi, inconsapevole, diventa l’oggetto di quest’ amore malato.

-“Don Juan De Marco, maestro d’amore” (Don Juan De Marco), regia Jeremy Leven, con Johnny Depp, Marlon Brando, Faye Dunaway, commedia, USA 1995
(CRITICA **½, PUBBLICO ***)
(sulle maschere e sulla necessità di non darsi per scontati)

Uno psichiatra, alla fine della carriera prende in cura un giovane schizofrenico che sostiene di essere il più grande amante del mondo e che se ne va in giro mascherato; è un romantico incurabile che nasconde la sua vera essenza dietro questa maschera. Più del romanticismo il desiderio di vedere e vedersi al di là delle maschere contagerà anche l’anziano medico che dopo 32 anni di matrimonio riesce a desiderare un rapporto nuovo e più maturo, perché più autentico, con sua moglie.

Un invito per tutte le coppie ad abbassare le maschere e a non darsi mai per scontati.

-“Adele H, una storia d'amore” (L'histoire d'Adèle H.), regia François Truffaut, con Isabelle Adjani, Bruce Robinson, drammatico/sentimentale, Francia 1975
(CRITICA ****, PUBBLICO **)
(un altro film sull’amore morboso)

Il film racconta di una storia vera tratta dai diari della figlia di Victor Hugo (scoperti nel 1955), una storia di malattia d’amore che ha radici nella mancanza d’equilibrio, nel bisogno d’amore e nell’amore dell’Amore.
Adèle, figlia di Victor Hugo, s'innamora non ricambiata di un tenente britannico per il quale abbandona la famiglia. Lo segue all’estero, finisce in miseria in preda alla follia.
È un film intimista con un personaggio solo, una descrizione dolce di emozioni violente. Come in M’ama non m’ama, il film racconta, in un’altra epoca, come, nell’illusione di amare una persona reale, si sovrapponga l’amore per l’Amore causato dal desiderio di essere amati. Anche qui l’amato è solo un mezzo per scatenare un’immaginazione e un desiderio sfrenato che colma il vuoto interiore infliggendo enormi sofferenze a se stessi e di fatto l’idealizzazione, la proiezione impedisce di vedere la realtà e l’umanità reale dell’altro.

Il film chiarisce, con il racconto probabilmente esasperato di una storia reale, come l’amore fatale e la passione sia di fatto una malattia della mente. L’idealizzazione è il contrario della denigrazione, ambedue trionfano sull’umanità dell’altro, ma rendono schiavi. Anche se in maniera meno malata ancora oggi sono molti i rapporti che naufragano in enormi sofferenze causate dal mito dell’amore-passione, quel tipo di amore distruttivo celebrato da artisti e poeti dal Medioevo ai nostri giorni e, purtroppo, ancora molto celebrato nella cultura Occidentale.

-“La voce dell’amore. Ama quello che hai già” (One true thing), regia di Carl Franklin, con Meryl Streep e William Hurt, sentimentale/drammatico, USA 1998,
(CRITICA **, PUBBLICO ****)
(sulle maschere maschili e la capacità di vederle, ma anche di accettarle da parte delle mogli)

Una giornalista ritorna nella piccola cittadina dove vivono i genitori: una casalinga tutto fare con un marito mediocre bisognoso di riconoscimento. Rinuncerà alla carriera per curare la madre che si è ammalata di cancro e che poi morirà.
Attraverso il personaggio positivo della madre che le suggerisce di “amare quello che hai già”, comprese le maschere del padre, riscopre il senso della famiglia e della propria vita.

Il film suggerisce di amare le persone per quello che sono e non per quello che si vorrebbe che fossero né per quello che loro vogliono far credere di essere. La verità é la premessa per un vero amore.

-“Il volto e l’anima” (Time), regia Kim Ki-duk e Lee II-ho, con Sung Hyun-ah, Ha Jung-woo, drammatico, Corea 2006
(CRITICA ***, PUBBLICO ***)
(su amore e identità)

È la storia paradossale di due giovani che si amano, ma che sentono di non conoscersi veramente. Lei è tormentata dalla sensazione di superficialità della relazione basata più sull’aspetto esteriore ed ossessionata dalla precarietà che ciò comporta, sapendo che questo aspetto è destinato nel tempo a cambiare ed a deteriorarsi.
La realtà ormai diffusa della chirurgia plastica è la risposta per contrastare i danni del tempo; essa viene qui raccontata con tutta la sua crudezza, ma diventa anche lo strumento per interrogarsi sull’angoscia dovuta alla mancanza di identità.
Il film racconta la mancanza di identità evidenziata dalla sempre più diffusa tendenza femminile a modificarsi i connotati, dal forte legame con la propria esteriorità ed anche la rinuncia alla propria identità per aderire a modelli stereotipati per piacere all’uomo.

La protagonista ed il film si interrogano non solo su chi si è, ma anche su chi si ama quando si ama.
Il film rappresenta una splendida ed incisiva metafora delle attuali identità incompiute maschili e femminili e sulla conseguente immaturità dell’amore di coppia; ciò riempie d’angoscia e rende problematico l’amore che non ha ancora imboccato la strada della consapevolezza di essere lo strumento reciproco per conoscersi e per crescere.

4) Violenze interne alla coppia e rapporti di dipendenza (amori dannosi)

-“Angoscia” (Gaslight), regia George Cukor, con Ingrid Bergman e Charles Boyer, drammatico, USA 1944
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(film antesignano sui rapporti di dipendenza e di potere tipici soprattutto nelle coppie del passato)

Il film è ambientato nella Londra vittoriana. Il marito, un assassino che aveva già ucciso la zia, ha deciso di fare impazzire la moglie per impossessarsi dei gioielli nascosti.
Un film pieno di suspense giocata sulla ambiguità, il dubbio, il doppio, l’equivoco, come misure dell’esistenza, ma soprattutto uno studio sulla coppia vecchio stampo e i suoi meccanismi di dipendenza psichica e di prevaricazione.

-“Delitto perfetto” (A perfect Murder), regia Andrei Davis, con Michael Douglas e Gwyneth Paltrow, noir, USA 1998
(CRITICA **, PUBBLICO ***)
(sulle violenze psicologiche e non solo)

Remake del film di Hitchcock del ‘54 con Grace Kelly. Il marito progetta l’uccisione della moglie ingaggiando come killer l’amante di lei.

Un altro film che racconta come la relazione si basi su dinamiche di potere giocate attraverso il condizionamento psichico dell’uomo su una donna privata della sua identità ed autonomia.

-“A letto con il nemico” (Sleeping with the Enemy), regia Joseph Ruben, con Julia Roberts
e Patrick Bergin, drammatico, Usa 1991
(CRITICA **, PUBBLICO **)
(sulla violenza psichica, ma anche fisica, all’interno del rapporto di coppia)

Un altro amore dannoso dal quale la protagonista, a fatica, riuscirà a fuggire per avviarsi su una vita autonoma e verso una relazione più equilibrata. Ma l’ex, uno psicopatico, la insegue.

Il film, come i precedenti, esaspera situazioni di dipendenza e di prevaricazione psicologica e fisica comunque ancora abbastanza diffuse dalle quali non è sempre così facile liberarsi; l’istituzione matrimoniale sembra fare da paravento a violenze che nessuno indaga e punisce.

-“Attrazione fatale” (Fatal Attraction), regia di Adrian Lyne, con Michael Douglas e Glenn Close, drammatico, USA 1987
(CRITICA **, PUBBLICO ****)
(sull’ossessione della passione)

In seguito all’avventura di una notte il protagonista rimane invischiato in una storia che diventa un inferno a causa dell’ossessiva occasionale amante.

Il film racconta come il richiamo dell’Eros si possa tradurre in ossessione a causa della trasformazione da amante a donna delle tenebre, dell’emergere del femminino oscuro, di Lilith, come archetipo della passione torbida, della sensualità sfrenata che può insidiare e sottomettere l’uomo, archetipo che catalizza tutte le paure del maschio nel rapporto con l’altro sesso.

-“Il danno” (Damage), regia Louis Malle, con Juliette Binoche e Jeremy Irons, drammatico, Gran Bretagna 1992
(CRITICA ***½, PUBBLICO ****)
(sulle maschere, le passioni, i tradimenti e l’inconscio desiderio di vendetta per le mutilazioni d’amore subite nell’infanzia e per le castrazioni del perbenismo borghese)

Dalla passione alla tragedia consumata da un impeccabile e stimato ministro attratto dalla futura moglie del figlio. Eros e Thanatos, perbenismo e trasgressione, un inno all’amore folle come ricerca dolorosa di qualcosa di più della banalità dei rapporti normali e perbenisti, ma nella direzione sbagliata.

Il film racconta come l’assassino torni sempre sul luogo del delitto: chi ha subito un danno negli affetti, incredibilmente è
portato a ripercorrere la stessa emozione non per liberarsene, ma per infliggere lo stesso dolore ad altri.

-“Un mondo di marionette” (Marionetterna), regia Ingmar Bergman, con Robert Atzorn e Christine Buchegger. Drammatico, RFT-Svezia 1980
(CRITICA ***, PUBBLICO **)
(sulle maschere, le passioni, i tradimenti e l’inconscio desiderio di vendetta per le mutilazioni d’amore subite nell’infanzia e per le castrazioni del perbenismo borghese)

Il film racconta le nevrosi di una coppia borghese, l’aridità di un rapporto senz’ anima, di un amore malato fatto di prevaricazioni,
litigi e desiderio di intimità mai soddisfatto.

Il film mette in luce come, non aprendosi alla dimensione spirituale che riconosca l’esistenza dell’anima, permane sempre un insopportabile senso di estraneità che trasforma l’iniziale amore in odio e, nel film, paradossalmente culmina in istinti omicidi. Il film evidenzia inoltre che la castrazione emotiva ha origini nell’infanzia e nel contesto sociale di appartenenza, e che tale castrazione si riflette poi da adulti nella incapacità di amare e di essere aperti all’amore. In questo caso l’emotività repressa sfocia in un cortocircuito emotivo che finisce con un omicidio che è anche suicidio di se stesso, solo chi uccide possiede totalmente gli altri, solo chi si suicida possiede totalmente se stesso.

-“Alice” (Alice), regia Woody Allen, con Mia Farrow e William Hurt, commedia, USA 1990
(CRITICA **1/2, PUBBLICO ***)
(sulle dipendenze psicologiche e mancanza d’autonomia nei rapporti di vecchio stampo)

E’ la storia di una quarantenne insoddisfatta e frustrata come molte donne che vivono rapporti di vecchio tipo.
Lei, tormentata da mille complessi, è relegata al compito di accudire i bambini, gestire i domestici e la casa, fare shopping e mantenersi in forma frequentando palestre, beauty farm metropolitane e parrucchieri, mentre il marito fuori casa è libero di fare ciò che vuole. Alla fine riesce però ad uscire dalla routine aprendo gli occhi sulla realtà che la circonda e ribellandosi alla prevaricazione ed al maschilismo del marito.

Il film è una delicata favola sulle nevrosi femminili della classe agiata americana, sulla necessità di evasione dalla prigione, anche se dorata, di un matrimonio basato sulla prevaricazione maschile e sulla mancanza di autonomia ed identità femminile, sulla più faticosa, ma più esaltante autonomia psichica raggiunta insieme all‘autonomia economica.

-“Primo amore”, regia Matteo Garrone, con Vitaliano Trevisan e Michela Cescon, drammatico, Italia 2003
(CRITICA ***, PUBBLICO ***)
(sulla violenza psicologica nei rapporti di coppia e sulle nuove schiavitù delle donne)

Una storia di una coppia in cui lui impone a lei un fisico da anoressica come strumento di potere.

Il film rappresenta un’affascinante e coinvolgente variazione sulla complicità e sopraffazione di coppia. Uno stretto rapporto di complicità lega la vittima al carnefice: l’eccessivo bisogno di essere amati attira chi desidera sopraffare. Ma l’amore non ha niente a che fare con le ossessioni, il sadismo e il masochismo, queste sono disfunzioni dell’anima e della mente da curare.

Un film altamente simbolico se si pensa che la stessa dinamica di sadismo e di controllo avviene oggi tra il sesso maschile dominante che impone alle donne un fisico da anoressiche tramite pubblicità, moda e status symbol, per minarle nella lotta per l’autonomia e la parità. Le donne ci cascano perchè sono ancora fragili, bisognose non solo di amore, ma anche della protezione e del riconoscimento del maschio che vogliono conquistare.

-“Ti dò i miei occhi” (Te doy mis ojos), regia Iciar Bollain, con L. Marull, L.Tosar, drammatico, Spagna 2003
(CRITICA ***½, PUBBLICO ***)
(sulla violenza psichica, ma anche fisica, all’interno del rapporto di coppia)

Il film mette a confronto l’amore sano e l’amore malato nelle vite di due sorelle raccontate in modo parallelo ed il faticoso cammino di Pilar, la sorella maltrattata e terrorizzata dall’ira e dalla violenza del marito, verso la consapevolezza di sé, l’autonomia psichica e materiale.

Un film in cui amore e dolore sono così mescolati da non essere più distinguibili. Da un amore violento, sebbene sincero, è necessario allontanarsi per non esserne distrutti non solo fisicamente, ma anche psicologicamente nel rispetto di se stesse. Per gli uomini la violenza e la gelosia sono malattie che vanno curate a livello sociale.

-“Volver”, regia Pedro Aldomovar, con Penelope Cruz, commedia, Spagna 2006
(CRITICA ****, PUBBLICO ****)
(sugli abusi sessuali all’interno della famiglia)

La giovane, moglie di un uomo violento e disoccupato, quando sa delle insidie del padre nei confronti della figlia lo ammazza e ne nasconde il cadavere. La protagonista è una donna molto forte che fin dalla sua infanzia custodisce nel silenzio un terribile segreto. L’alleanza e la solidarietà tra donne rende la loro vita autosufficiente e felice.

Un altro film che denuncia le violenze alle donne interne alla famiglia largamente presenti nella realtà spagnola; i maschi non ne escono bene, le donne, di tre diverse generazioni, sì.

-“Martha” (Martha), regia Reiner Werner Fassbinder, con Margit Carstensen e Karlheinz Bohm, drammatico, RFT 1973
(CRITICA ***½, PUBBLICO *)
(sulla violenza psichica e morale, analisi del rapporto di complicità tra vittima e carnefice, su una figura femminile incapace di far valere il suo diritto all’esistenza all’interno del patto matrimoniale)

È anche questa la storia di una donna fragile (con una madre alcolizzata) sposata con un uomo che cerca di annullarne
la personalità. Lei cerca di sottrarsi, ma un incidente stradale la porterà sulla sedia a rotelle in totale balia del marito.

Rispetto agli altri numerosi film sullo stesso argomento il film fornisce un finale da film dell’orrore e sembra così alludere che le donne, da sole, potrebbero non farcela a sottrarsi alle prepotenze maschili.

-“La donna di Gilles” (La femme de Gilles), regia Frédéric Fontey con Emmanuelle Devos, Clovis Cornillac, drammatico, Belg.-Fr.-It.-Sviz. 2004
(CRITICA **½, PUBBLICO **)
(sull’abnegazione della donna all’interno del matrimonio e sull’invito cattolico di accettazione delle difficoltà e delle sofferenze interne al matrimonio come via al Paradiso)

Ambientato nella periferia francese degli anni ‘30, il film descrive il rapporto molto tradizionale tra un operaio e una casalinga, priva di una identità propria se non quella di essere la moglie di qualcuno. Una donna, come tante una volta, che accetta, soffrendo in silenzio, la prepotenza e l’aperto tradimento del marito, con un masochistico annullamento di sé, motivato anche dalla visione cattolica di accettazione delle prove del Signore e della sofferenza.
Solo attraverso la morte riuscirà ad avere, solo per un attimo, un’identità propria.

Il film nel titolo esorta a ribaltare i ruoli portando in primo piano la figura femminile rispetto a quella maschile, una figura comunque la cui identità viene definita solo dal fatto di essere la moglie di un uomo, tipico dei rapporti del passato e di società poco evolute.

-“Racconti da Stoccolma”, regia Anders Nilsson, con Javidi, Lia Boysen, drammatico, Svezia 2006
(CRITICA**½, PUBBLICO ***½)
(uno sguardo sulla non interiorizzata parità da parte dei maschi occidentali)

Il film racconta tre storie parallele di sentimenti e di violenza di attualissima disumanità che scaturisce dall’intrecciarsi di diverse culture: araba, svedese e gay. Una figlia segregata e condannata a morte dalla famiglia araba che non vuole confrontarsi con la cultura del mondo occidentale nella quale vive. Una giornalista di successo, madre di due figli, che subisce violenze psichiche e fisiche da parte del marito geloso, ma che si farà paladina della lotta contro la violenza alle donne. L’amore non dichiarato tra il proprietario di un locale alla moda ed il suo buttafuori, due gay palestrati.

Il film dichiara come la violenza ancora presente all’interno delle famiglie, l’assenza di ogni valore morale e la non ancora metabolizzata parità tra uomini e donne del mondo occidentale non siano inferiori alla violenza familiare-tribale della cultura araba che non accetta di integrasi con la cultura del paese in cui vive e dove l’eccesso di valori serve agli uomini per mantenere ancora in vita, all’interno della famiglia, la totale subalternità femminile, con la compiacenza anche di una parte delle donne.
Pur nella durezza della denuncia il film veicola un messaggio di speranza basato sulla convinzione che ogni sopraffazione ancora in vita e dura a morire sia nella cultura araba che occidentale, può essere combattuta con il coraggio della denuncia e della difesa della propria dignità.

5) Sui condizionamenti e sulla crisi della famiglia

-“American Beauty” (American Beauty), regia Sam Mendes con Kevin Spacey e Annette Baning, commedia, Usa 1999
(CRITICA ***, PUBBLICO *****)
(sulla crisi dei ruoli e personale all’interno di una generazione e della famiglia americana)

Un quarantenne in crisi coniugale ed esistenziale trova in un’adolescente, amica della figlia, la spinta a cambiare tutto nella sua vita, ma è solo patetico. Una brillante descrizione del vuoto esistenziale che si cela dietro i miti della classe borghese: lavoro, carriera e ruolo sociale, casa e famiglia. I figli, che assistono a questo sfascio, solo apparentemente trasgressivi, diventano in realtà i veri difensori dei valori tradizionali, se non altro per avere ancora qualche riferimento.

Il film sembra voler aprire una speranza demandando ai giovani la responsabilità di costruire un mondo nuovo migliore sulle ceneri di quello ereditato dalla generazione di chi li ha preceduti.

-“Family Life”, regia Ken Loach, con Sandy Ratcliff, drammatico, Gran Bretagna 1971
(CRITICA ***½, PUBBLICO ****)
(sui condizionamenti famigliari e del pensiero puritano)

Una ragazza che resta incinta viene costretta dalla famiglia puritana a lasciare il suo ragazzo e ad abortire per non rovinarsi la vita.
Lei si ribella, ma non ha armi contro i valori apparentemente corretti che le vengono imposti e così cadrà progressivamente nella nevrosi e nella malattia.

Il film racconta in modo esemplare la durezza di un ambiente e di un’ epoca oggi in parte superati, ma che col suo perbenismo ha fortmente condizionato in passato la vita di molti ragazzi delle precedenti generazioni ed ancora oggi agisce nel profondo delle coscienze.

-“Magnolia” (Magnolia), regia Paul Thomas Anderson, con Jhon C.Reilly, Malora Walters e Tom Cruise, commedia, Usa 1999
(CRITICA ***, PUBBLICO **)
(sui condizionamenti famigliari)

Magnolia è il nome di una strada di Los Angeles dove si incrociano per caso dei personaggi che hanno in comune il destino di aver vissuto, ognuno in modo diverso, degli affetti mancati siano essi padri e figli, donne e uomini o vecchi e giovani.
Tutti confusamente e inutilmente alla ricerca d‘amore e d’identità. Il cancro che impera, in questo contesto, sembra essere la malattia dell’anima che si traduce in una malattia del corpo.

Il film mette in luce la responsabilità della famiglia nella costruzione della nuova generazione perchè sono proprio i membri della famiglia che per la vicinanza e l’intimità possono lasciare tracce incancellabili positive, ma spesso anche ferite difficili da riemarginare

-“Tanguy” (Tanguy), regia Etienne Chatiliez, con Sabine Azema, Andrè Dussolier e Eric Berger, commedia, Francia 2001
(CRITICA **½, PUBBLICO ****)
(sulla mancanza di autonomia dei giovani, ma anche sulla superficialità dei rapporti familiari nella società attuale)

La storia di un figlio quasi perfetto se non fosse che a ventotto anni non ci pensa nemmeno lontanamente ad andarsene di casa mentre i genitori, che vorrebbero vivere una seconda gioventù vorrebbero non averlo più tra i piedi.
Dovrà andarsene in Giappone a casa della moglie per rifugiarsi, protetto ed amato, dentro una famiglia patriarcale legata ancora agli antichi valori.

Un film satirico che dall’iniziale bersaglio sul figlio e sulla sua generazione indubbiamente troppo poco autonoma e troppo amante delle comodità, poco per volta sposta la mira sui genitori, incapaci di invecchiare, e sui difetti della famiglia borghese occidentale che, demoliti i vecchi valori, non sembra aver ancora chiarezza sul proprio ruolo.
Certo la soluzione non è però tornare indietro.

-“Quello che cerchi”, regia Marco Simon Piccioni, con Marcello Mozzarella, Stefania Orsona Garello, drammatico, Italia 2001
(CRITICA **½, PUBBLICO ****)
(sui condizionamenti famigliari)

Anche in questo caso è la storia di un figlio che soffre la solitudine e la mancanza d’amore dei genitori e che trova nella lotta alla globalizzazione il senso della propria vita.
Il film mette in luce i valori ecologisti delle nuove generazioni ed anche come le imperfezioni dell’amore che i figli ricevono condizioneranno tutta la loro vita futura. Un richiamo quindi alla responsabilità dei genitori ed al ruolo della famiglia per
addestrare all’amore.

-Anche libero va bene”, regia Kim Rossi Stuart, con Kim Rossi Stuart, Barbora Bobulova, drammatico, Italia 2006
(CRITICA***, PUBBLICO ***)
(sulle famiglie in crisi odierne: la differenza di sguardo sul mondo che possono avere un padre e un figlio)

Un padre single, con problemi di lavoro e con una moglie che ha abbandonato la famiglia per seguire una passione e che saltuariamente ritorna a casa, fa il “mammo” e cerca di gestire al meglio i due figli, un bambino e una ragazza adolescente.
Il film è descritto dal punto di vista del bambino che è quello che soffre di più per una famiglia così disastrata e dovrà diventare grande anticipatamente facendosi carico, lui il più piccolo, dell’immaturità di entrambi i genitori. Un’analisi realistica delle difficili situazioni emotive che i genitori e i figli oggi si trovano a vivere nelle famiglie in crisi.

6) Sulla gelosia, sui tradimenti e sulla passione

-“Aurora” (Sunrise-A Song of Two Humans), regia Friedtich Wilhelm Murnau, con Gorge O’Brien e Margaret Livingston, drammatico, Usa 1927 (2004 copia restaurata)
(CRITICA *****, PUBBLICO **)
(sul tradimento e sulla gelosia)

E’ questo uno dei primi film d’amore e tradimento altamente simbolico che scandisce didascalicamente il percorso di ogni coppia di umani (come dice nel titolo originale). La tentazione e la redenzione sono descritte nelle tre fasi del film.
Dramma (crisi coniugale, desiderio d’evasione dall’isola sulla quale il protagonista vive e nuova passione con la donna venuta dalla città), intermezzo felice (la visita in città con la moglie che era scappata da lui perché aveva capito che aveva intenzione di annegarla per liberarsi di lei e riconciliazione) e nuovo dramma dovuto ad una nuova consapevolezza ed alla paura della perdita (temuto annegamento della moglie durante il temporale che li ha sorpresi nel ritorno a casa in barca), che prelude però a un lieto finale di redenzione dai bassi istinti e cupidigie e di riconciliazione con se stesso e con la moglie (dopo però aver tentato di strangolare l’amante tentatrice, simbolo del male).

Un film didascalico ed elementare sulla presenza del bene e del male in ogni essere umano, che metteva in guardia dal contraddire la legge del matrimonio.

-”Mimì metallurgico ferito nell’onore”, regia Lina Wertmuller, con Giancarlo Giannini e Mariangela Melato, commedia, Italia 1972 (CRITICA***, PUBBLICO*****)
(sulla gelosia e sull’onore)

Gelosia e tradimenti vecchio stile: solo al maschile. La metamorfosi di Mimì da sottoccupato del Sud a operaio evoluto
del Nord, con una moglie e un’amante.

Un film sul maschilismo e la gelosia del maschio italiano meridionale emigrato al Nord. A metà tra vecchi valori e una
nuova visione evoluta del rapporto di coppia, tra sottocultura ed emancipazione.

-“Ti amerò fino ad ammazzarti. Una storia inverosimile incredibilmente vera(I Love You to Death), regia di Lawrence Kasdan, con Devine Kline, Tracey Ullman, commedia, USA 1990
(CRITICA **, PUBBLICO ***)
(sul tradimento solo al maschile )

Il film racconta la storia vera dei continui tradimenti di un pizzaiolo italoamericano e del complotto di moglie e suocera per ucciderlo visto che avevano scoperto tutto. L’omicidio, affidato a due sicari, non va a buon fine e la moglie finisce in prigione. Nonostante ciò, lui la perdona e l’ama ancora di più.

Un film, come il precedente, sul machismo, la gelosia e l’istrionismo degli italiani del Sud emigrati in America a confronto con altre culture e la faticosa uscita della donna da un ruolo subalterno.

-“Le strategie del cuore” (Après l’Amour), regia Diane Kurys, con Isabelle Huppert, drammatico, Francia 1929
(CRITICA **, PUBBLICO **)
(sul tradimento al maschile di lunga durata e la conduzione di vite parallele)

È una storia come tante altre di un triangolo amoroso. Una scrittrice cinquantenne, nubile, amante di un affermato architetto coetaneo, s'innamora anche di un giovane cantautore. Le complicazioni sono ovvie visto che ambedue hanno anche mogli e figli.

Un film sulla complessità del sentimento amoroso in tutte le sue molteplici sfaccettature con un’acuta, ma irrisolta analisi sul triangolo marito, moglie ed amante.

-“Trappola d’amore” (Intersection), regia Mark Rydell, con Richard Gere e Sharone Stone, drammatico, USA 1994
(CRITICA **, PUBBLICO **)
(sulla contemporanea voglia maschile di evadere ma anche di restare)

Un architetto di successo è sposato con la figlia del titolare del grande studio di architettura per cui lavora ed ha una figlia sedicenne.
II matrimonio formale, dove le pubbliche relazioni sono più importanti dell’amore, lo porta ad innamorarsi di un’altra donna più calda e passionale.
Lui vorrebbe tutte e due e non riesce a lasciare la moglie, muore in un incidente stradale nessuna delle due sa se ha vinto o perso rispetto all’altra ed il legame con lo stesso uomo le unisce.

Sulla crisi del matrimonio, sulla aspirazione alla poligamia e sulle difficoltà nel prendere una decisione. Il film apre uno spiraglio sulla maggiore maturità femminile e sulla capacità di andare oltre alla gelosia facendo vincere la solidarietà invece dell’orgoglio.

-“Jules e Jim” (Jules et Jim), regia François Truffaut, con Jeanne Moreau e Oscar Werner,
drammatico, Francia 1962
(CRITICA ****, PUBBLICO ***)
(sul tradimento al femminile e il menage a tre)

Due intellettuali in una Parigi d’inizio millennio (il Novecento) sono amici e condividono oltre l’interesse per l’arte e la poesia anche quello per la stessa ragazza.
Vengono separati dallo scoppio della prima guerra mondiale e si perdono di vista. Nel frattempo il rapporto tra Jules e Catherine, che ha avuto anche una figlia, diventa teso. Quando Jim ricompare dopo la guerra, Jules accetterà la relazione tra la moglie e l’amico che avrà anch’essa un esito poco felice.

È questo Ii ménage à trois più famoso nella storia del cinema, capostipite di un genere. Il desiderio di libertà ed anticonformismo (proprio delle speranze di inizio millennio) porta i protagonisti a non relegare l’amore dentro la gabbia degli schemi convenzionali del rapporto di coppia.
Il film è un inno alla libertà dell’amore ed all’anticonformismo, anticipa in un certo qual modo il futuro dell’amore, l’aspirazione umana ad un amore espanso, sebbene non ve ne siano ancora le circostanze umane, sociali e culturali.

-”Fine di una storia”(The End of the Affair), regia Neil Jordan, con Ralph Fiennes, Julianne Moore, drammatico, USA/Germania 1999
(CRITICA ***, PUBBLICO ***)
(un tradimento al femminile tra peccato, santità e perdizione, sul menage a tre)

Tratto da un romanzo autobiografico di Graham Greene il film racconta la storia di una donna di fede cattolica, divisa tra Dio, il marito diplomatico e l’amante scrittore.

Un altro ménage à trois, con il personaggio femminile al centro sempre in bilico tra condanna, perdizione, santità e martirio in quanto, come tanti, è anche lei vittima dell’amore e della passione; mentre i due personaggi maschili legati dall’amore per la stessa donna riescono a vincere la gelosia e sono legati invece da un sentimento di solidarietà.
Lo stesso tema del tradimento e dell’amore a tre del film precedente, ma vissuto non più in modo anticonformista, ma all’interno delle regole sociali e cattoliche.
Il risultato però sembra essere sempre lo stesso: quello del castigo di Dio e della perdizione per chi tenta percorsi diversi da quelli convenzionali. Tutti i film su questo tema finiscono con il confermare l’impossibilità di trovare vie d’uscita da relazioni di questo tipo (Jules e Jim, L’Infedele)

-“L’infedele” (Trolosa), regia Liv Ulmann, con Lena Enore e Erland Josephson, Svezia/Italia/Germania 2000
(CRITICA ***½, PUBBLICO ***)
(sul tradimento al femminile e le inevitabili tragiche conseguenze)

Anche questo film descrive il dolore vivo e tangibile di una tormentata storia d’amore fatta, oltre che di tradimenti, anche di noia.
Un anziano regista è tormentato dal rimorso per l’adulterio che ha commesso e che rievoca prima di morire insieme al fantasma dell’attrice che ha amato. Anche in questo caso l’adulterio avrà un tragico epilogo.
Il sesso e l’amore sembrano a un certo punto dover a tutti i costi uscire dagli schemi del matrimonio convenzionale per diventare strumento di ricerca della propria identità, ma anche questo film sembra confermare che non c’è via di scampo nell’infedeltà, ma solo dolore.

-”Un cuore in inverno” (Un Coeur en hiver), regia Cloaude Sautet, con Daniel Auteeuil, Emanuelle Béart, drammatico sentimentale, Francia 1992
(CRITICA ****, PUBBLICO ****)
(sul tradimento, sull’attrazione senza amore)

Un’altra storia di amore a tre: giocato però attraverso il sesso e negando l’amore.
Il film prende atto della divisione attuata tra amore e sesso e perde la tensione di ricerca dei film precedenti. La negazione dell’amore, da parte del personaggio che si insinua nel rapporto di una coppia e fa diventare la donna lo strumento dell’affermazione di sé, sembra essere rappresentativo del potere maschile, che nell’amore vede la minaccia alla supremazia acquisita.

-“Tradimenti” (Betrayal), regia David Jone, con Jeremy Jones, Patricia Hodge, drammatico sentimentale, Gran Bretagna 1983
(CRITICA ***, PUBBLICO **)
(sul tradimento al femminile e la complicità tra uomini)

Storia di una donna con due vite parallele. Quando si separa da tutti e due, gli uomini si incontrano e l’ex marito dichiara all’ex amante di aver sempre saputo della relazione che durava da anni.

Con dei flash back il film scava a ritroso nel groviglio di sentimenti, di bugie e di aspirazioni del menage a tre.

-“Promesse e compromessi” (Miami Rhapsody), regia D. Frankel , con Sara Jessika Parker, Gill Bellows, Antonio Banderas, commedia USA 1995
(CRITICA**, PUBBLICO ***)

La figlia, in procinto di sposarsi, scopre che tutta la famiglia ha relazioni extraconiugali, ma che, forse proprio per questo, i matrimoni resistono al tempo.

Il tradimento viene qui descritto non più con toni drammatici, ma con leggerezza: esso può non essere sempre causa di separazione, ma un piacevole intervallo, che può persino contribuire a consolidare i rapporti.

-“Matrimoni”, regia Cristina Comencini, con Diego Abatantuono, Francesco Neri e Stefania Sandrelli, Commedia, Italia 1998
(CRITICA **½, PUBBLICO ***)
(sulla funzione terapeutica dell’adulterio)

Questa volta chi lascia la famiglia è lei per seguire un amore di gioventù. Una commedia al femminile che mette in luce la dipendenza dell’uomo italiano dalla figura materna.

Un altro film che ha il coraggio di affermare che l’adulterio può avere una funzione terapeutica.

-“I giochi dei grandi” (We Don't Live Here Anymore), regia John Curran, con Laura Dern, Mark Ruffalo, Peter Krause, Naomi Watts, drammatico, Canada/Usa 2004
(CRITICA **½, PUBBLICO **)
(sul tradimento a quattro, tra coppie di amici e i diversi risultati possibili)

Lo scambio (nascosto) delle mogli tra due amici è un gioco divertente, ma pericoloso perchè produce profondi tormenti e sensi di colpa e, quando verrà scoperto, finirà male, ma non per tutti.
La coppia che non sapeva amare si lascerà, l’altra, più strutturata, dopo questa esperienza tenterà un rapporto nuovo e più autentico.

Il film evidenzia il degrado morale ed il dolore provocato da tradimenti che spesso sono solo un palliativo alla noia del rapporto piccolo borghese in un piccolo centro di provincia, ma apre anche uno spiraglio sulla possibilità di andare oltre ad un tradimento.

-“La signora della porta accanto” (La Femme d’à coté), regia di Françoise Truffaut, con Fanny Ardant e Gerard Depardieu, drammatico, Francia 1981
(CRITICA ***½, PUBBLICO ***)
(sul destino e sulla passione come follia)

È la storia di una passione morbosa di due ex amanti che, dopo anni di lontananza, si scoprono vicini di casa. Sebbene entrambi felicemente sposati, la passione li travolge nuovamente distruggendoli.
La passione si alimenta della impossibilità di viverla liberamente; un altro film sul binomio eros-thanatos la cui morale è riassunta dalla frase finale del film “né con te, né senza di te”, ovvero sulla impossibilità di vivere le passioni (”amour fou”, l’amore folle) senza rovina. L’amore vero è altra cosa.

-“Innamorarsi” (Falling in love), regia Ulu Grosbard, con Robert de Niro e Meryl Streep, drammatico sentimentale, Usa 1984
(CRITICA **½, PUBBLICO ***)
(sul destino, sul tradimento, e sull’amore impossibile)

Lui e lei, felicemente sposati, sono pendolari sullo stresso treno, si sfiorano mille volte e, alla fine, si incontrano. E’ attrazione a prima vista, dopo alcuni brevi incontri il senso di colpa prevale sulla passione e ognuno torna al suo posto, ma con un’esperienza in più.

Il film però non dà risposte, non fa intendere se si tratta di una scelta consapevole o di un adeguarsi alle norme sociali.

-“Le relazioni pericolose” (Dangerous Liaisons), regia Stephen Frears, con Glenn Close, John Malkovich, Michelle Pfeiffer, Uma Thurman, drammatico, USA 1988
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(l’amore non è un gioco)

Tratto dal romanzo scritto nel 1782, come testo di strategia erotica, il film rappresenta complicati intrighi di seduzione giocati tra la marchesa di Merteuil e il visconte di Valmont, suo ex amante; ma giocano col fuoco e si bruceranno.

Il film racconta le dinamiche dell’attrazione, ma mette in guardia dall’usarle al di fuori di un percorso d’amore.

-“Un amore sotto l’albero” (Noel), regia di Chazz Palminteri, con Penélope Cruz, Susan Sarandon, USA 2004
(CRITICA ***, PUBBLICO ***)
(su vari tipi di amore e sulla gelosia malata)

Film natalizio ad episodi che descrive diversi personaggi che devono fare i conti con la solitudine più dura del solito alla vigilia di Natale con New York sotto la neve e addobbata a festa.

Il film parla di amore e folle gelosia, ma anche di altri tipi di amore: dell’amore che fa miracoli, di spiritualità e di perdono, suggerendo che, se non si è amati, è sempre possibile riempire i vuoti donando amore.

-“Shall we dance?”, regia Peter Chelsom, con Jennifer Lopez, Richard Gere, Susan Sarandon, commedia, USA 2004
(CRITICA **, PUBBLICO ***)
(sulla capacità di andare oltre la crisi)

Il film racconta le inquietudini ed il desiderio di novità che assalgono anche un uomo con una splendida famiglia che dietro al desiderio di mettersi a ballare nasconde anche quello di evasione in una nuova storia di amore. Scoperto dalla moglie, dopo l’iniziale normale risentimento, lei riuscirà a capire.

La metafora del ballo e della musica sembra suggerire che nella vita ci vuole ritmo, armonia ed anche leggerezza ed affiatamento, come quando si balla.
Guardare ogni tanto al di là del muro può anche essere un modo per apprezzare ciò che si ha e un’identità femminile forte sa andare oltre al sentimento impulsivo della gelosia comprendendo che ognuno deve avere il suo spazio. Ogni crisi contiene il potenziale di un cambiamento anche in meglio del rapporto.

-“Un giorno perfetto”, regia Ferzan Ozpetek. Con Isabella Ferrari, Valerio Mastandrea, Stefania Sandrelli, drammatico, Italia 2008.
(CRITICA ***, PUBBLICO **)
(sull’incapacità degli uomini di accettare l’abbandono e il rifiuto da parte della donna)

In un solo giorno una donna madre di due figli e desiderosa di continuare a vivere, dovrà fare i conti con il licenziamento da un lavoro precario e con la follia dell’ex marito che non riesce ad accettare l’abbandono.

Il film racconta di una condizione psicologica ai limiti della rottura dovuta alle difficili condizioni esistenziali del lavoro precario e della crisi delle relazioni. E soprattutto della incapacità maschile di accettare l’abbandono se la scelta è fatta dalla donna, perché possesso e dominio sono ancora fortemente radicati nell’animo di molti uomini e non è facile liberarsene.
Ai tormenti degli adulti fa riscontro lo spaesamento e la fragilità dei figli, che tuttavia sembrano non rinunciare a voler
credere nell’amore.

-“Dopo il matrimonio” (Efter brylluppet), regia Susanne Bier con Mads Mikkelsen, Sisde Babett Knudsen, drammatico, Danimarca,/Svezia 2006
(CRITICA ***, PUBBLICO ***)
(sulla capacità di vincere la gelosia)

È la storia complessa di due uomini che hanno amato la stessa donna; uno lavora in India come volontario in un orfanotrofio che rischia di chiudere per mancanza di soldi, l’altro è un ricco uomo d’affari, suo compatriota che lo finanzierà.
Scoprirà, dopo, che il proprio finanziatore è il marito della donna che ha sempre amato e che la loro figlia in realtà potrebbe essere sua. L’uomo d’affari è ammalato e sta per morire, la rabbia e la gelosia, che inizialmente sembra divorarlo, si tramuterà alla fine in un grande gesto d’amore e capacità di donare: l’amore vero desidera solo che l’altro sia felice.

Il film è un dramma intimista che racconta la contradditorietà delle emozioni tra gelosia e il desiderio di possesso e l’autenticità dell’amore che dirigerà le vite dei protagonisti. Dalla prova del dolore, e della morte, i legami familiari ne usciranno rafforzati, perchè questi sono stati gli strumenti attraverso i quali ognuno ha potuto trovare, dentro se stesso, la propria verità ed autenticità.

7) Coppie scoppiate: sulla noia, sui litigi e sui divorzi

-“Sotto la sabbia” (Sous la sable), regia François Ozon con Charlotte Rampling e Bruno Cremer, drammatico, Francia 2000
(CRITICA ***½, PUBBLICO **)
(sulla superficialità dei rapporti borghesi)

È la storia, come tante, di una coppia borghese apparentemente serena. Il matrimonio di ormai lunga data nasconde però, dietro la facciata, un’inquietudine e la profonda noia esistenziale di un rapporto chiuso a due che si ferma in superficie.
Un’unione simile forse va bene per una donna, ancora passiva e desiderosa di protezione, ma diventa soffocante per un uomo che nelle convenzioni e nelle abitudini vede repressa la possibilità di evolvere e di cimentarsi.
Lui sparisce e la moglie, incapace di affrontate il lutto, continua la relazione con il suo fantasma, sospesa tra la riscoperta di sé e gravata dall’educazione borghese che le impedisce di incamminarsi su una nuova vita, con il progressivo scivolamento in una dimensione di allucinazione e di negazione della realtà.

Il film mette in evidenza come dietro la facciata di una coppia vecchio stile possa nascondersi una profonda insoddisfazione, di come i rapporti di una volta fossero in genere castranti per lamancanza di autonomia femminile e per l’impossibilità di crescita.

-“Mariti e mogli” (Husbands and Wives), regia Woody Allen, con Woddy Allen, Mia Farrow, commedia, USA 1992
(CRITICA **, PUBBLICO ***)
(maldestri tentativi di tradimento e di separazione, come antidoto alla inevitabile crisi di coppia)

Gabe e Judy sono marito e moglie apparentemente senza problemi. Una sera ricevono i loro due migliori amici Jack e Sally, coppia a prova di bomba. I due, sorridendo, annunciano che stanno per separarsi, ma va tutto bene, lo hanno deciso insieme, non ci saranno drammi, è la scelta migliore per tutti. In realtà per Jack e Sally la separazione sarà dolorosissima.
La loro crisi si riflette sul rapporto di Gabe e Judy che entrano a loro volta in crisi.
I rapporti si intrecciano, ed alla fine la coppia che si era separata si ricompone e Gabe e Judy, invece, si separano.

Il film mette in luce come in ambedue i casi i veri sconfitti sono le aspettative e i reciproci desideri destinati a rimanere sempre insoddisfatti; se si smettesse di averne i rapporti sarebbero sicuramente più felici.

-“La guerra dei Roses” (The War of the Roses), regia Denny De Vito, con Michael Douglas, Kathleen Turner, Danny De Vito, commedia, USA 1989
(CRITICA ***½, PUBBLICO ***)
(Su litigio e sulla incapacità di separarsi con maturità, forse perchè di fatto si vorrebbe stare ancora insieme.)

Un film sulla battaglia tra i sessi. Dopo 17 anni di matrimonio Barbara e Oliver hanno raggiunto una bella famiglia con figli, ricchezza e carriera, ma lei non lo ama più e decide di divorziare. Inizia così una vera e propria guerra domestica e una coabitazione forzata - perchè lui non se ne vuole andare - piena di colpi bassi e crudeltà dove lo spazio della casa è il terzo attore.
Meglio litigare, fino a volte dimenticarsi anche delle ragioni che hanno dato il via al conflitto, che perdersi.

-“Kramer contro Kramer” (Kramer vs. Kramer), regia Robert Benton, con Dustin Hoffman e Meryl Streep, drammatico, USA 1979
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sulla separazione per iniziativa femminile, ma gestita con sentimenti nobili)

Uno spaccato della famiglia americana alle prese con la crisi del privato. I conflitti si fermano sempre prima del dramma, perché i protagonisti, ambedue maturi, fanno prevalere i sentimenti nobili. In questo caso è la moglie che abbandona marito e figlio per cercare la propria strada; ma padre e figlio supereranno le difficoltà di questa situazione insieme, senza drammi.

Sulla capacità di separarsi con maturità e senza odio.

-“Prima ti sposo poi ti rovino” (Intolerable Cruelty) regia Fratelli Coen, con George Clooney, Catherine Zeta-Jones, commedia matrimoniale, USA 2003
(CRITICA ***, PUBBLICO ***)
(sui litigi delle separazioni, sul Prenup)

Un film sulla battaglia tra i sessi. Miles Massey è un affermato avvocato matrimonialista, famoso per aver stilato l’ inflessibile contratto prematrimoniale intitolato a suo nome. Dopo aver aiutato a separarsi, scannandosi, decine di coppie, l’avvocato improvvisamente cambia rotta e sembra voler inneggiare all’amore disinteressato. Denuncia così il cinismo degli avvocati matrimonialisti che dai fallimenti altrui traggono i propri profitti. Anche lui però resterà vittima di una donna che tenta di conquistarsi l’indipendenza appropriandosi delle fortune di ingenui, provvisori, mariti.

Un film sulle contraddizioni del contratto prematrimoniale e sui matrimoni di interesse, che nulla hanno a che fare con l’amore; gli uomini spesso sono le vittime dell’ emancipazione femminile che ostacolano.

-“A piedi nudi nel parco” (Barefoot in the Park) , regia Gene Saks, con Robert Redford e Jane Fonda, commedia, Usa 1967
(CRITICA **½, PUBBLICO ***)
(su due cuori e un capanna, litigi e separazione al femminile)

Un lui ed una lei, con suocera al seguito, dall’iniziale simbiosi ad una repentina incompatibilità tra il romanticismo femminile e il pragmatismo maschile (la crisi infatti è dovuta al fatto che lui si rifiuta di camminare, romanticamente, a piedi nudi nel parco).

Una commedia un pò datata, ma didascalica sul tema di come lo spazio della piccola casa, al settimo piano senza ascensore, inizialmente un nido, si trasformi subito nella causa di molteplici tensioni e di come la vita simbiotica renda subito incompatibili le diverse sensibilità di uomini e donne, portando alla separazione anche subito dopo il matrimonio.

{Film in DVD} - PARTE SECONDA

LA CRISI DI COPPIA ALL’INTERNO DEI PROCESSI INNESCATI DALL’EMANCIPAZIONE FEMMINILE 

  1. L’emancipazione femminile e i nuovi ruoli: lo scontro tra i sessi
  2. Uomini nuovi e nuovi ruoli maschili
  3. Sulla crisi del rapporto e sulla possibilità di superarla
  4. Sulla confusione contemporanea dei ruoli sessuali: nuovi tipi di relazioni e di famiglie.
  5. Sulla paura di amare, su sesso, Eros, desideri e tabù.
  6. Ripartire da sè
  7. Riemergere dalle ferite
  8. Sull’anima e sull’amore dopo la vita
  9. Le nuove coppie: insieme liberi
  10. Per una nuova cultura dell'amore (contro l'amore romantico)
  11. Empatia: al di là delle parole, l’eros dell’anima
  12. Siamo tutti in rete
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1) L’emancipazione femminile e i nuovi ruoli: lo scontro tra i sessi

-“Donne” (The Women), regia George Cukor, con Norma Shearer, Joan Crawford, Rosalind Russell, commedia, USA 1939.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****½)
(sugli albori della presa di coscienza da parte delle donne della loro identità ed autonomia)

Una ricca signora borghese americana tradita dal marito va a Reno per ottenere il divorzio. Lì incontra altre donne con lo stesso problema e ciò è l’occasione per interrogarsi su quale è il modo corretto di rapportarsi agli uomini ed al proprio marito, mettendo a confronto diversi punti di vista.

Una gradevole commedia che descrive con grande sarcasmo il fenomeno della donna-oggetto da esibire, delle separazioni ed i primi albori dell’emancipazione femminile. Il comportamento della protagonista, che lotta per la sua autonomia, viene però esaltato mettendo in evidenza la differenza sostanziale tra essere donne per se stesse, con una propria identità, ed essere femmine e cioè vivere solo in funzione degli uomini.

-“Il visone sulla pelle” (That Touch of Mink), regia Delbert Mann, con Cary Grant, Doris Day, commedia, USA 1962.
(CRITICA **, PUBBLICO ***)
(sulla donna come oggetto da esibire)

Film di un’epoca in cui per fare sesso si doveva prima capitolare a nozze o...regalare un visone; esso racconta infatti la schermaglia tra un ricco industriale (che vuole sesso oltre che una compagna da esibire) e una donna non più giovanissima, ma illibata che punta, oltre che al visone, anche a farsi sposare e mantenere.

Il film racconta in modo emblematico il fenomeno della donna oggetto. Negli anni della ricostruzione e del boom economico le donne del ceto borghese, ancora non autonome, accettano di buon grado di farsi oggetto di esibizione della vanità del maschio che le accompagna, anche se in questo modo venivano private di una loro propria identità. Gli uomini ne pagano il prezzo diventando spesso, essi stessi, vittime di donne che più che all’amore puntano ai soldi ed a farsi mantenere.

-“Lulù”, regia Walerian Borowczyk, con Ann Bennent, Michele Placido, drammatico, RFT-It.- Fr. 1980.
(CRITICA **½, PUBBLICO ***)
(sullo scontro tra i sessi e l’arma femminile della seduzione)

È la storia di una donna che attraversa la sua epoca innescando il desiderio e seminando morte e rovina.

Il film, rispetto alle precedenti versioni (Lo spirito della terra (1895) e Il vaso di Pandora (1904) di Frank Wedekind non fa della protagonista una donna fatale, ma una donna con una femminilità del tutto naturale.
Qui è il semplice Eros della natura che innesca nell’uomo cacciatore il desiderio della preda e non il potere erotico distruttivo e vendicativo della donna fatale, che gioca pericolosamente con l’uomo stimolandone il desiderio di possesso e di dominio.

-“Monalisa smile”, regia Mike Newell con Julia Roberts, Kirsten Dunst, commedia, USA, 2003.
(CRITICA *½ , PUBBLICO ***)
(sulle prime avvisaglie dell’emancipazione femminile nell’America anni ‘50)

E’ la storia di una pioniera dell’emancipazione femminile, di un’insegnante che getta i semi di una nuova consapevolezza femminile che porterà molte delle sue allieve a lottare per la loro autonomia e a uscire dalle convenzioni che relegano le donne in un ruolo a servizio dell’uomo e della famiglia.

Il film documenta i contrasti tra la mentalità conservatrice e bigotta, che vedeva come fine ultimo per una donna solo la sua realizzazione nel matrimonio, e gli albori dell’emancipazione femminile negli anni ‘50 in USA.

-“Una donna sposata” (Une Femme marine), regia Jean-Luc Godard, con Bernard Noel, Macha Meril e Philippe Leroy, commedia, Francia 1964.
(CRITICA ***, PUBBLICO **)
(donne anni ‘60: sulla cultura romantica dell’amore e sull’alienazione della donna)

È la storia di una donna sposata borghese e della sua vita banale divisa tra marito ed amante; una vita superficiale (e per questo poco soddisfacente) all’avvio della società dei consumi e dei condizionamenti dei messaggi mediatici e pubblicitari.

Il film racconta il periodo precedente agli anni ‘70 in cui verrà attuata la separazione tra sesso ed amore.

-“Down with love. Abbasso l’amore” (Down with love), regia Peyton Reed, con Renèe Zellweger e Ewan MacGregor, commedia sentimentale, Usa 2003.
(CRITICA *** , PUBBLICO ***)
(sulle donne anni ‘60: contro il romanticismo come strumento per sottomettere le donne)

È la storia di una casalinga che ha scritto un libro contro il romanticismo, ma poi invece ci ricasca.
Il film descrive, in maniera comica, la geniale intuizione che è da qui (dall’abbandono dell’ideale romantico del principe azzurro) che deve iniziare qualsiasi reale processo di crescita delle donne e di emancipazione dagli uomini.

-“Pazzi in Alabama” (Crazy in Alabama), regia A. Banderas, con Melanie Griffin e Lucas Black, comico, Usa 1999.
(CRITICA **½ , PUBBLICO ***).
(sulle donne anni ‘60: sul processo di emancipazione delle donne e della lotta per la rivendicazione della parità dei negri d’America, avviato in parallelo negli anni ‘60)

Il desiderio di libertà della metà degli anni ‘60 affianca una vedova, che si è liberata del marito, ad un ragazzo di colore, che ha a che fare con il razzismo.

Il film racconta in modo comico un momento assai importante della storia americana, un processo che per quanto riguarda la parità razziale sembra essersi concluso, ma non ancora per ciò che riguarda l’emancipazione femminile.

-“A walk on the moon Complice la luna” (A walk on the moon), regia T. Goldwyn, con Diane Lane e Viggo Mortensen, drammatico sentimentale, USA 1999.
(CRITICA **, PUBBLICO **)
(sulle donne anni ‘60/70: sul processo di emancipazione delle donne parallelo al movimento hippy negli USA)

Negli anni degli hippies, del Concerto di Woodstock e del primo uomo sulla luna, anche le donne cominciano a pensare di poter avere anche loro relazioni sentimentali extraconiugali, ma è solo una prova.

Il film racconta l’avvio della contestazione alla morale borghese americana e della rivoluzione sessuale portata avanti dal movimento hippy in America e i riflessi sul processo di emancipazione femminile. Il film sembra lasciar intravedere la possibilità di avviare questa rivoluzione all’interno della coppia, magari anche con la collaborazione del marito che deve rivedere tutti i suoi schemi.

-“Essere donne” (Felix), regia Margarethe Von Trotta, Eva Maties, Christel Buschman, drammatico, Germania 1988.
(CRITICA ** , PUBBLICO **)
(sulle donne anni ‘80 post femministe)

Un racconto sulle donne attraverso il punto di vista di un uomo immaturo che, lasciato da sua moglie, va in cerca di avventure che lo aiutino a superare la solitudine. Incontra donne libere, disinibite, emancipate, liberate dalle lotte femministe degli anni ’70, ma anche isteriche, aggressive e scontente.

Un film che mette a nudo le difficoltà di incontro tra due immaturità quella maschile ed anche quella femminile; sulla opposizione tra i generi creata dal femminismo, opposizione che ha solo provocato angosce, incomprensioni e difficoltà di incontro tra i sessi.

-“Una donna tutta sola” (An Unmarried Woman), regia Paul Mazursky, con Jll Clayburgh e Alan Bates, commedia sentimentale, Usa 1977.
(CRITICA ***, PUBBLICO ***)
(donne anni ‘70: sulla nuova autonomia femminile)

È la storia di una quarantenne con figlia, abbandonata dal marito, che scopre il piacere della libertà. Anche se troverà un altro amore, preferirà continuare a vivere da sola.

Il film descrive il processo di crescita e la nuova autonomia e identità femminile che, proprio attraverso il dolore di una separazione, scoprirà che è possibile vivere bene, anzi meglio, se non si vive solo in funzione di un uomo. Un film che a suo modo ha aperto una frattura nella certezza del “per sempre e sotto lo stesso tetto”.

-“Speriamo che sia femmina”, regia Mario Monicelli, con Liv Ullmann, Catherine Deneuve, Philippe Noiret, commedia, Italia 1986.
(CRITICA ***½ , PUBBLICO ****½)
(sul rifiuto degli uomini da parte delle donne postfemministe degli anni ‘80)

È la storia di una madre con due figlie, una governante e un ex marito. Le donne scoprono che stanno bene tra di loro e senza uomini, così sperano in un nascituro di sesso femminile.

Il film racconta il sogno di molte donne post femministe di un nuovo matriarcato e di un mondo senza uomini.

-“Un giorno per caso” (One Fine Day), regia Michael Hoffman, con Michelle Pfeiffer e George Clooney, commedia sentimentale, Usa 1996.
(CRITICA **½ , PUBBLICO ****)
(donne anni ‘90: sulla condizione dei separati e le difficoltà femminili di gestire lavoro, figli e nuove relazioni sentimentali, difficile, ma possibile)

Lui e lei divorziati ce l’hanno con l’altro sesso e hanno ambedue il problema di far quadrare l’impegno per i figli con il loro lavoro. Gli opposti si attraggono: lei, efficientissima, vuole fare tutto, lui la lascia fare. Si incontrano, si amano, la storia è a lieto fine.

Il film racconta la possibilità di riuscire a ricreare nuove relazioni sulle ceneri di quelle andate in frantumi e gli equilibrismi richiesti dalla nuova autonomia femminile di donne divise tra la carriera ed il desiderio di famiglia.

-“Volti” (Faces), regia John Cassavetes, con John Marley, Gena Rowlands, drammatico, USA 1968.
(CRITICA ***, PUBBLICO **)
(impietoso esame sulla vita di coppia della borghesia americana)

E’ la storia di 192 un matrimonio in crisi a Los Angeles e un’indagine sui desideri di fuga e sulle contraddizioni di uomini e donne. Ambedue i partner tenteranno un’evasione, lui con una prostituta, lei al ballo con le amiche.

Il film fa parte della tetralogia di Cassavetes; quattro film per indagare i rapporti di coppia negli anni ‘70 (Volti del 1968, Mariti del 1970, Minnie e Moskowitz del 1971, Una moglie del 1974).
Questo film racconta, come in Jules e Jim, dell’esistenzialismo di un altro periodo di totale decostruzione delle regole borghesi e dei tentativi di evadere dalla tirannia del matrimonio che, vissuto in modo formale, crea angoscia e insoddisfazione.
Racconta di un rapporto malato e i danni provocati dall’ipocrisia, dai segreti, dalle menzogne nascoste dietro la facciata di una coppia perbene. Le regole sociali prevalgono nonostante la dolorosa alienazione e incomunicabilità che rapporti di questo tipo provocano.

-“Una moglie” (A Woman under the influence), regia John Cassavetes, con Peter Falck, Gena Rowlands,, drammatico, USA 1974.
(CRITICA ***½, PUBBLICO ***)
(sulle difficoltà del matrimonio e sulla nevrosi femminile per il ruolo obbligante, subalterno e faticosissimo)

Racconta la vita di una delle tante famiglie americane: lui capocantiere, lei a casa con tre figli. Lei finisce in clinica con un esaurimento nervoso, quando esce sarà l’affetto dei figli a sostenerla al posto di quello del marito.

Il film fa parte della tetralogia di Cassavetes; quattro film per indagare i rapporti di coppia nella nostra era (Volti del 1968, Mariti del 1970, Minnie e Moskowitz del 1971, Una moglie del 1974). In questo film si indagano le difficoltà di maturazione soprattutto maschile e la conseguente nevrosi di una moglie non sostenuta nel suo difficile e pesante compito di condurre la casa, allevare i figli ed accudire i nonni. Con questo film Cassavetes fa un’analisi puntuale del forte legame che esiste tra le storie personali e la società e i suoi valori, mettendo a fuoco la mentalità conservatrice e consumistica della borghesia operaia americana negli anni ‘70. In questo contesto racconta la fragilità femminile, ma anche il dolore di una donna che cerca, e non trova, amore nella coppia.
Come in altri, film Cassavetes sembra fermarsi all’analisi e una domanda resta insoluta: la famiglia è il palcoscenico o la causa della nevrosi, è la sua prigione o l’ancora di salvezza?

2) Uomini nuovi e nuovi ruoli maschili


-“Il gladiatore”, (Gladiator), Ridley Scott con Richard Harris, Russell Crowe, Storico, USA,
2000.
(CRITICA **½ , PUBBLICO ****½)
(un uomo con il cuore e con le palle in epoca romana)

-“Master e Commander” (The Far Side of the World), regia Peter Weir. Con Russell Crowe,
Richard Stroh, avventura, USA 2003.
(CRITICA ****, PUBBLICO ****)
(un uomo con il cuore e con le palle in epoca napoleonica)

-“Brave Heart. Cuore impavido” (Braveheart), regia Mel Gibson, con Mel Gibson, Sophie
Marceau, avventura, USA 1995.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(un uomo con il cuore e con le palle nella Scozia del XIII secolo)

Gli archetipi, in epoche e contesti diversi, di uomini forti, coraggiosi, ma anche dai buoni sentimenti o teneri e protettivi con moglie e prole, uomini per i quali le donne vanno pazze.

-“Il cuore degli uomini” (Les coeur des hommes) regia Marc Esposito, con Bernard Campan,
Gerard Darmon, commedia, Francia 2003.
(CRITICA **½, PUBBLICO ***)
(sulla necessità degli uomini di adeguarsi ai capovolgimenti provocati dall’emancipazione femminile
e su diverse tipologie di uomini)

Quattro inseparabili amici, ormai attorno ai cinquanta, si confrontano con quattro diverse storie sentimentali.
Un modo per raccontare gli uomini dei giorni nostri, quattro diversi stereotipi maschili: dal macho seduttore erotomane, all’imbranato, passando per il geloso e il timido mammone.
Interessante la tesi del film che legge i nuovi caratteri maschili come il risultato e l’adattamento degli uomini al processo di emancipazione femminile.

-“Mariti” (Husbands), regia John Cassavetes, con John Cassavetes, Ben Gazzarra, Peter
Falk, drammatico, USA 1970.
(CRITICA *** , PUBBLICO ***)
(sulla crisi di ruolo e sull’immaturità maschile)

Tre professionisti di New York, sconvolti per la morte di un amico, mettono in crisi il senso della loro vita. Tentano così una fuga illusoria dalla banalità della loro vita quotidiana.
Si sentono prigionieri della loro classe e dei loro ruoli e, in modo grottesco, tentano una ribellione al senso di solitudine ed alla aggressività richiesta dal mondo del lavoro.
Il film fa parte della tetralogia di Cassavetes; quattro film per indagare i rapporti di coppia nella nostra era (Volti del 1968, Mariti del 1970, Minnie e Moskowitz del 1971, Una moglie del 1974).
In questo film il vagabondaggio viene assunto come strumento di ricerca di una nuova dimensione, di qualcosa di più che si sente necessario, ma non si riesce a decifrare. Anche in questo film (come in Scia d’amore) viene messa in luce la nevrosi e l’immaturità maschile dovuta al contrasto tra l’ essenza biologica e il ruolo imposto, oltre che alle difficoltà o alla noia, di matrimoni convenzionali nei quali tuttavia alla fine torneranno a rifugiarsi.

-“Uomini” (Manner) regia Doris Dorrei, con Heiner Lauterbach e Uwe Ochsenknecht, drammatico,
Rft 1985.
(CRITICA *** , PUBBLICO ***) 
(sull’integrazione nel sistema del sesso maschile)

Per sottrarre l’amante alla moglie (un giovane alternativo ex sessantottino), il marito, un uomo di successo sul lavoro, lo fa assumere e lo trasforma in uno yuppie.
Il film mette in evidenza le contraddizioni di un’epoca in cui molti giovani ribelli sembrano voler mettere in discussione tutte le regole borghesi, tra le quali quelle dei matrimoni convenzionali.
Molti di essi, però non riusciranno a resistere alle lusinghe del sistema che hanno tentato di minare e che invece li ingloberà.

-“L’uomo senza passato” (Mies vailla menneisyyttä), regia Aki Kaurismäki, con Markku
Peltola, Kati Outinen, drammatico, Finlandia 2002.
(CRITICA ****, PUBBLICO ***½ )
(sui condizionamenti sociali e la perdita d’identità degli uomini)

La storia di un uomo senza nome che, aggredito al suo arrivo a Helsinki, finisce in ospedale senza memoria.
Scapperà dalle istituzioni per trovare rifugio ed accoglienza presso le rigide donne dell'Esercito della Salvezza. Dopo varie peripezie approderà ad un lieto fine.
L’amnesia come desiderio di rinascita in un film che con poche parole fa uno scandaglio critico del neoliberismo, della globalizzazione, del sistema bancario, della società del profitto e dei danni provocati sugli uomini.

-“Volevo solo dormirle addosso”, di Eugenio Cappuccio con Giorgio Pasotti, Giuseppe Gandini,
drammatico, Italia 2004.
(CRITICA ***, PUBBLICO ***½ )
(sulle dure regole del mondo del lavoro e l’integrazione nel sistema del sesso maschile e sulle
difficoltà che ciò provoca nelle relazioni)

È la storia di un giovane trentenne che si deve occupare della formazione, selezione ed anche riduzione del personale in una multinazionale dove la legge del profitto prevarica qualsiasi atteggiamento umano. Nel giro dei licenziamenti anche la sua stessa posizione è a rischio. La lotta sui due fronti, del licenziatore e del licenziabile, comporta uno stress che non lascia spazio per l’amore.
Un film che fa uno spaccato intelligente sulla realtà lavorative di molti uomini alle soglie del 2000, dove i rapporti di forza e la precarietà nel mondo del lavoro sembrano assorbire ogni energia.
Le donne spesso, ancora escluse da queste realtà, non capiscono e gli affetti si frantumano in un campo di battaglia dove alle difficoltà del lavoro si aggiungono quelle delle identità maschili e femminili incompiute ed ancora ancorate ai vecchi schemi: quello del capofamiglia principale responsabile del mantenimento della moglie e della prole, e quella di una donna che non ha ancora capito le contraddizioni di una visione romantica dell’amore.

-“Tre uomini e una culla” (Trois hommes et un couffin), regia Coline Serrau, con Roland
Giraud, Michel Boujenah, commedia, Francia 1985.
(CRITICA ***, PUBBLICO ***)
(sulla modificazione dei ruoli)

La figlia neonata di una modella viene depositata fuori dalla porta del padre, un aitante donnaiolo ignaro della sua paternità e che divide la casa con altri due uomini. Una rivoluzione nella vita di tutti e tre, che si alternano nella gestione della piccola, provando le gioie e i dolori della paternità.
Sulla maldestrezza degli uomini nel loro nuovo ruolo di padri, attenti e premurosi, e sulla nuova affettività maschile che, dopo anni di inibizioni, viene finalmente liberata dal nuovo ruolo a loro imposto dall’emancipazione femminile.

-“About a boy. Un ragazzo” (About a boy) regia Paul e Chris Weitz, con Hugh Grant e Toni
Colette, commedia, GB/Usa/Francia 2002.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sui Singles, la paura dell’impegno e la noia dei rapporti superficiali, sulla lotta tra i sessi)

Nessun uomo è un’isola. Storia di un quarantenne Single incallito e felice che cerca solo storie superficiali, ma che entra in crisi ed è spinto a crescere da un dodicenne che invade la sua vita.
Uno dei tanti film che mette in luce l’aridità a cui approda chi vuole fuggire all’impegno di una relazione seria e del matrimonio. Sembra infatti voler sottolineare che tutti gli uomini, in un’epoca in cui la loro affettività è stata finalmente liberata, hanno bisogno di amare e di dare senso alla loro vita anche attraverso i figli.

-“Sideways. In viaggio con Jack” (Sideways), regia Alexander Payne con Paul Giamatti,
Virginia Madsen, commedia, USA, 2004.
(CRITICA ***½, PUBBLICO ***½)
(due tipi di uomini a confronto, un playboy e uno normale)

È la storia di due quarantenni, amici fin dal liceo, che intraprendono un viaggio in giro per cantine nei vigneti della California.
Ambedue vivono la frustrazione di sentire di aver fallito tutto nella propria vita: uno è un incallito playboy l’altro si sta per sposare senza molta convinzione.
Un altro film che tramite il viaggio delinea la ricerca di sé e del senso della vita; il film mette in luce l’aridità esistenziale a cui porta la mancanza d’amore e il passaggio da una conquista all’altra, ma anche l’accettazione di vivere in modo inconsapevole dentro le convenzioni. Il viaggio e le riflessioni porteranno profondi cambiamenti nelle loro vite.

-“Alfie”, regia Charles Shyer con Jude Law, Marisa Tomei, commedia, Gran Bretagna, USA
2004.
(CRITICA **, PUBBLICO ***)
(sulla crisi di un playboy e sulla necessità di incontri tra anime)

Un remake di un film degli anni ‘60 che racconta la storia di un giovane playboy a New York. Anche questa è la storia di un uomo che gioca con il sentimento dell’amore, sempre attento a non cadere nella trappola.
Come in altri film del genere, prima o poi l’aridità di chi conduce una vita senza sentimenti viene a galla, procurando un malessere che porterà il protagonista a capire che le relazioni non possono essere giocate solo al livello dell’immagine, delle apparenze, senza andare mai in profondità.
Il film nella sua apparente banalità in realtà afferma un dato che anche molti altri film confermano (v. Un mondo di marionette di Bergman) che solo un rapporto che riesce ad aprirsi alla dimensione dell’anima è realmente soddisfacente e in grado di soddisfare l’innato desiderio di intimità.

-“L’uomo che amava le donne” (L’Homme qui aimait les femmes), regia François Truffaut,
con Charles Denner, Brigitte Fossey, drammatico, Francia 1977.
(CRITICA *** , PUBBLICO ***½ )
(sul desiderio di conoscere se stesso attraverso le relazioni con le donne)

È la storia di un uomo che ha amato molte donne nella sua vita e ha scritto un libro su tutte le sue relazioni d’amore prima di morire. Un uomo solo che ha scelto la solitudine accompagnato e rallegrato da più donne, forse meglio che sentirsi comunque solo con una sola moglie?
Un’altra storia di un dongiovanni che, nonostante abbia molte donne, riesce a impostare con tutte un rapporto d’amore perché è totalmente privo di desiderio di dominio e di possesso. Un comportamento forse dovuto al suo rapporto con la madre, ma anche al fatto che il protagonista riesce a vedere la bellezza dell’animo femminile, l’equilibrio e l’armonia del loro modo di amare e quindi ama tutto il genere femminile senza distinzioni. È una specie di dongiovanni intellettuale che, attraverso le donne, conosce se stesso. Un’ anticipazione forse sull’idea di amore espanso, amore universale, sul futuro dell’amore.

LE SOLUZIONI E I NUOVI PARADIGMI DEL RAPPORTO DI COPPIA

3) Sulla crisi del rapporto e sulla possibilità di superarla


-“L’amante perduto”, regia R. Faenza, con C.Hinds, J. Aubrey, P.Law, drammatico, It.-GB-Fr.
1999.
(CRITICA **, PUBBLICO **)
(Sull’amore senza confini e sulla possibilità di superare la crisi matrimoniale)

E’ la storia di un rapporto coniugale a Tel Aviv messo alla prova dalla perdita, avvenuta sedici anni prima di un figlio piccolo, dall’allontanamento di lei dal marito perchè si innamora di un giovane ebreo francese, mentre la loro figlia si invaghisce di un ragazzo palestinese. Il marito pazientemente e saggiamente aspetta che tutto passi, e passerà.
Il superamento della crisi matrimoniale come metafora politica sulla necessità della pacifica convivenza tra i due popoli; ma forse è assai più di una metafora perchè la guarigione collettiva e l’eliminazione delle guerre passa attraverso un percorso di maturazione del singolo e della coppia.

-“Eyes wide shut” (Sogno a occhi aperti), regia Stanley Kubrick, con Tom Cruise, Nicole
Kidman, drammatico, Gran Bretagna-USA 1999.
(CRITICA ****, PUBBLICO ***)
(l’esplorazione nel subconscio da parte di una coppia adulta e normale, che rischia di naufragare
nei gorghi della psiche dove Eros e Thanatos, Amore e Morte, s’incontrano)

In cinematografia il doppio reale oppure onirico è una costante, quasi un genere. Anche in questo caso i due protagonisti (Bill e Alice) si sdoppiano, lei in sogno, lui nella realtà, per esplorare la parte più nascosta di se stessi e per dare spazio ai desideri di trasgressione sessuale inconsci.
Il film descrive lo scontro tra una vita ben regolata, confortevole, votata all’ordine ed alla logica, e il desiderio, il richiamo dell’irrazionale e di forze oscure. Esso rappresenta un’ intensa indagine su amore e sessualità all’interno di una coppia tradizionale. La crisi come momento di maturazione di se stessi e della coppia.
Grande film sull’ inquietudine, sulla paura del sesso e della parte nascosta di sé che proprio nel sesso emerge, perchè il sesso è una cosa seria e misteriosa, a volte anche dolorosa, da esplorare insieme; un luogo dove esitono incrostazioni spesso difficili da rimuovere. Argomenti che Kubrick affronta con una vena grottesca e talora da humour nero, ma riuscendo ad aprire anche uno spiraglio di fiducia sul futuro della coppia.

-“Storia di noi due” (Story of Us) Story of Us, regia Rob Reiner, con Michelle Pfeiffer e Bruce
Willis, commedia, USA 2000.
(CRITICA *½, PUBBLICO ***)
(sulla crisi e la possibilità di superarla passando a una fase più matura di amore)

Una coppia in crisi, dopo 15 anni di matrimonio, sperimenta la separazione, ma poi riusciranno a tornare insieme in un rapporto più maturo.
Un film che racconta meglio di altri come una coppia, tenuta insieme da un rapporto che resta superficiale, arriva alla crisi per la mancanza di dialogo, la reciproca incomprensione e la noia della routine.
I dialoghi sono una splendida sintesi di cose che tutte le coppie si trovano a dire.
Il finale, nonostante il lieto fine, non è banale perchè fa capire come sia sbagliato darsi per scontati mentre c’è ancora un mondo da scoprire nell’altro e la volontà di farlo rende il rapporto più maturo.

-“Pleasantville”, regia Gary Ross, con Toby Maguire e Reese Witherspoon, commedia, USA
1998.
(CRITICA **½, PUBBLICO **)
(sulla necessità di accettare il cambiamento)

Il film è una metafora, è la storia di due ragazzi che entrano dentro al loro telefilm preferito.
Un film sulle convenzioni sociali, sulla necessità di piacere agli altri e di vivere dentro agli schemi, come quelli proposti dai media, vivendo così una vita in bianco e nero. La rinuncia di una vita vera - a colori - con passioni, dolore, sentimenti ed anche sesso, a favore di una vita convenzionale apparentemente tranquilla e felice. Un film che inneggia, anche se in un modo un po’ difficile da comprendere e con un ritmo un pò lento, alla vita ed alla accettazione delle difficoltà dovute ai cambiamenti; i cambiamenti sono la vita stessa. Accettare i cambiamenti significa anche accettare i rischi e il dolore che la vita e il matrimonio comportano.
Il film è un inno alla vita come processo di conoscenza di sé, processo che passa anche attraverso la conoscenza e l’accettazione dei cambiamenti e il rispetto della personalità dell’altro.

-“Insieme per caso” (Unconditional Love), regia P.J.Hogan, con Kathy Bates, Rupert Everett,
commedia, Usa 2002.
(CRITICA **½, PUBBLICO ***)
(sull’amore incondizionato)

Una donna romantica, abbandonata dal marito, trasferisce il suo bisogno d’amare idolatrando un divo dello spettacolo.
Quando questo muore, lei si inserisce nella sua vita e nella sua casa, disposta a continuare ad amarlo anche se lui non c’è più. Invece di affliggersi per le continue delusioni ed abbandoni scopre la sua capacità d’amare incondizionatamente il divo, ma anche il marito che alla fine tornerà da lei.
Il film sembra aprire, anche se in modo illogico e farsesco, uno spiraglio su una capacità d’amare più matura: l’amore incondizionato non ha bisogno di essere ricambiato ed è sufficiente per essere felici, anzi lo si è di più.

4) Sulla confusione contemporanea dei ruoli sessuali: nuovi tipi di relazioni e di famiglie.


-“Io amo Andrea”, regia Francesco Nuti, con Francesco Nuti, Francesca Neri, Agatha De La
Fontaine, commedia, Italia 1999.
(CRITICA **, PUBBLICO **)
(Un film sulla confusione contemporanea dei ruoli sessuali)

Un veterinario divorziato si innamora della disinibita Francesca che però è innamorata e convive con Andrea, una donna.
Dopo schermaglie rivali lui si mette con Andrea e ci fa un bambino.
Una commedia romantica che descrive un moderno ‘menage a trois’, mettendo a fuoco la contemporanea, non così rara, confusione in materia di sessualità.

-“Tutto su mia madre” (Todo sobre mi madre), regia Pedro Almodovar, con Cecilia Roth,
Marisa Paredès, Penèlope Cruz, drammatico, Spagna-Francia 1999.
(CRITICA ****, PUBBLICO ****)
(su un nuovo concetto di famiglia come nucleo fondato sull’amore non necessariamente solo tra un
solo uomo e una sola donna)

E’ la storia di una ragazza madre che perde il figlio diciassettenne in un incidente e che va alla ricerca del padre che non sapeva di esserlo.
Il padre ha cambiato sesso, diventando Lola che ha messo incinta anche Rosa, suora laica, rendendola sieropositiva e che morirà dando alla luce un altro bambino.
Drammi umani che diventano commedia e che raccontano l’importanza della solidarietà, gettando uno sguardo sul futuro dell’amore e su un nuovo modello di famiglia fondata sull’amore, senza necessarie distinzioni di sesso, nè limitazione di numeri.

-“Together” (Tillsammans), regia L.Moodysson con L. Lindgrem, commedia, Svezia, Danimarca
2000.
(CRITICA ***, PUBBLICO **)
(su possibili alternative alla famiglia ed ai rapporti di coppia tradizionali)

Il film racconta la storia di una ragazzino che viene portato dalla madre, in fuga da un marito violento, a casa di uno zio sessantottino che vive in una specie di comune.
Un mondo inaspettato e divertente di coppie non sempre di sesso diverso e non sempre uguali all’interno del quale anche lui proverà le prime attrazioni amorose.
Tra spinelli e politica il film racconta con ironia, ma anche forse con un pò di nostalgia, un periodo in cui si è tentato di mettere in discussione la morale borghese e la famiglia come struttura chiusa. Sulla scia dell’epopea hippy si è tentato un modo diverso di amare e di fare sesso.
Un tentativo poi fallito per l’errore che si è fatto - per opporsi all’ideale romantico - di separare il sesso dall’amore. Le premesse non erano invece sbagliate perché erano le premesse di un amore non più chiuso, ma espanso che riguarda la coppia, ma che coinvolge anche chi le sta intorno; con la possibilità, descritta anche in questo film come già in altri, di sentirsi tutti legati da un comune filo d’amore, non rivali gli uni agli altri, ma immersi e partecipi di un unico flusso dentro il quale l’unicità dei rapporti viene tacitamente messa in discussione.

-“Le fate ignoranti”, regia Ferzan Ozpetek con Margherita Buy e Stefano Accorsi, drammatico,
Italia 2001.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sulla famiglia allargata polisessuale e multirazziale tenuta insieme da solidarietà e amore)

In scena, un triangolo atipico. Una donna medico scopre il tradimento del marito dopo la sua morte improvvisa. Rendendosi conto di aver vissuto con uno sconosciuto, inizia così un viaggio alla ricerca di indizi che le forniscano una testimonianza della persona che ha amato.
Scopre così un mondo sconosciuto, tra omosessuali, transessuali e malati terminali. Persone che il marito ha amato e frequentato, che quindi lei avvicina con curiosità cercando di capire. Alla fine si lascerà coinvolgere da questo nuovo modo di pensare e di amare, inizialmente inconcepibile per la sua morale borghese.
Scoprirà così la possibilità di un amore più ampio, più espanso di quello di una coppia tradizionale, basato sulla solidarietà e sulla verità, sull’accettazione degli altri così come sono. 
Un film coinvolgente che emoziona per la carica di umanità con una trama analoga a quella di Tutto su mia madre di Aldomovar e, come questo, sempre in bilico tra dramma e commedia. Un film che come Together apre ad un concetto di famiglia più ampio allargato, ma senza gli errori e le ingenuità degli anni ‘70.
È una ricerca che si limita a sgretolare le false convinzioni della morale borghese senza tuttavia dare risposte; un teorema aperto, per ora senza un risultato certo, ma che tuttavia sussurra che nulla è definito.
In questo periodo di confusione e di transizione dominato da nuove e vecchie paure, il film apre uno spiraglio lasciando intravedere che dall’ attuale crisi del rapporto di coppia - dovuta al mutato ingrediente dell’autonomia femminile - sta emergendo il futuro delle relazioni e dell’amore: si sta faticosamente e dolorosamente imparando ad avere relazioni sulla base di un livello di coscienza più elevato, imperniato sulla solidarietà e sul perdono, sulla apertura agli altri senza separazioni di sesso, ceto, credo o razza con la possibilità di sentirsi tutti legati da un comune filo d’amore, non rivali gli uni agli altri, ma immersi e partecipi di un unico flusso dentro il quale l’unicità dei rapporti viene anche qui tacitamente messa in discussione.

-"Mine Vaganti", regia di Ferzan Ozpetek - 2010, con Riccardo Scamarcio, Nicole Grimaudo, Alessandro Preziosi, commedia, Italia 2010

(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sulle nuove regole dell'amore: gli  interrogativi sulla attuale sessualità maschile)

In una tradizionale famiglia del Sud, schiava del perbenismo, vi sono dei sovversivi che ne stravolgeranno tutte le regole. La nonna, vittima di un matrimonio combinato, non ha saputo ribellarsi ed ha amato segretamente per tutta la vita il cognato. Per questo dà tutto il suo appoggio al nipote che non ha il coraggio di dichiarare la sua omosessualità e il suo amore per il compagno di studi, finchè -dopo varie peripezie- riuscirà a far accettare al padre le sue scelte totalmente diverse da quelle che il padre aveva gia fatto per lui: discendenza nella conduzione dell'azienda di famiglia e matrimonio di convenienza con la figlia del socio in affari.

Ai tempi di Freud era la sessualità femminile ad essere un mistero, oggi è invece quella maschile che sta ponendo molti interrogativi .
Anche questo ultimo film di Ozpetek, come già il precedente Le fate ignoranti, racconta, con un insieme multicolore di personaggi, una storia di omosessualità e dell’ attrazione tra uomini (attrazione che non si capisce se escluda del tutto dal mondo affettivo maschile, e non solo sessuale, le donne, oggi sempre più spesso destinate a restare, come la giovane interprete di questo film,“a bocca asciutta”).
Il film fa riflettere: in questo mondo in continua liquefazione e trasformazione e davanti ai sempre più frequenti casi di sovvertimento delle regole sembra ormai banale limitarsi a gridare allo scandalo anche davanti al fenomeno del diffondersi dell’omosessualità maschile, in tutte le sue, più o meno divertenti, sfaccettature.
Ozpetek si mette dalla parte dei sovversivi, delle “mine vaganti”e li descrive con estrema simpatia. Quello che traspare da questo film è un messaggio anche qui, come ne Le Fate Ignoranti, appena sussurrato, trasversale: la crisi dei valori delle strutture relazionali, famigliari e persino sessuali potrebbe non essere la fine, il crollo del mondo, ma l’inizio radioso di una nuova era.


5) Sulla paura di amare, su sesso, Eros, desideri e tabù.

-“Una relazione privata” (Una liaison pornographique), regia Frèdèric Fonteyne, con Nathalie
Baye, Sergi Lopez, drammatico, Francia 1999.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sul sesso e sul delicato lavoro da fare insieme per abbattere i muri che spesso creano l’inconscio
e le fantasie erotiche in esso depositate)

Lei e lui, un uomo e una donna senza identità, si incontrano in una anonima stanza d’albergo: vogliono dare sfogo alle proprie fantasie erotiche, con soddisfazione reciproca e senza coinvolgimenti emotivi. Invece fa capolino un amore
inaspettato, che i due non hanno il coraggio di vivere.
Un film personale, intenso, più drammatico di quanto il titolo originale lasci intendere, perché la pornografia a cui allude non è altro che l’incrostazione nell’inconscio di dimensioni erotiche difficili da rimuovere ma che è necessario saper vedere ed elaborare; un lavoro fatto in due è un reciproco atto d’amore che può avvicinare molto una coppia. I protagonisti del film infatti saranno avvicinati da questa esperienza molto intima, ma la paura di provare sentimenti, provocata da una cultura che ha teso a separare l’amore dal sesso, finirà per prevalere.

-“Nell’intimità” (Intimacy), regia Patrick Chereu con Mark Rylance e Kerry Fox, Francia 2000.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(Dal sesso all’amore basato su reciproci bisogni ed infelicità)

Una storia eroticamente cruda ed esplicita (al limite del pornografico) ed esistenzialmente disperata raccontata da personaggi di cui il film inquadra solo i corpi nell’atto sessuale consumato ogni mercoledì nello squallido appartamento di lui.
Da questa trama essenziale appena traspare la probabilità di un reciproco passato infelice alle spalle.
Anche qui, come in Una relazione privata, l’iniziativa è della donna. Ambedue vogliono fare solo sesso senza parlare e senza sapere niente l’uno dell’altra. Anche in questo film i coinvolgimenti emotivi che affiorano sono temuti ed evitati. 
Un racconto sulla separazione tra sesso ed amore e sulla mancanza di intimità che caratterizza i rapporti con il partner, con gli altri, con il mondo e, a volte, persino con se stessi.
Il sesso diventa così uno strumento per provare solo piacere fisico, ma che in realtà spesso diventa intimità d’anima e prelude ad una rinascita, una riscoperta di sè e dell’altro e quindi all’amore.
Anche in questo film come in Una relazione privata la storia finisce perché ambedue non riescono a parlarsi: perché forse l’incomunicabilità è il prezzo che l’uomo e la donna moderna pagano per adattarsi alla struttura di un mondo in continuo cambiamento.

-“Il corpo dell’anima”, regia Salvatore Piscitelli, con Roberto Herlitzka e Raffaella Ponzo,
Italia 1999.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(dal sesso all’amore e sulla capacità di lasciarsi con gratitudine)

Dal sesso all’amore in una relazione matura. Un anziano e colto scrittore scopre il sesso grazie ad una cameriera ignorante e disinibita; nonostante la diversa estrazione i due protagonisti riescono ad entrare almeno per un certo tempo in un contatto profondo d’amore.
Il film racconta come, abbandonati tutti gli schemi e le aspettative, sia possibile riuscire ad entrare in contatto con l’anima dell’altro, a vedersi solo come persone. Racconta inoltre come, quando l’attrazione finisce, sia possibile lasciarsi con gratitudine per quello che si è riusciti a darsi reciprocamente.

-“Nove settimane e ½” (Another Nine and a Half Weeks), regia Adrian Lyne, con Kim Basinger
e Mickey Rourke, drammatico, Usa 1986.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
Il film racconta come le fantasie maschili di uno yuppie si tramutino in ossessioni erotiche; il desiderio di possesso e di violenza che esse incarnano portano poco alla volta ad alzare il tiro del gioco al quale una seducente gallerista inizialmente non si oppone.
Se la messa a nudo per comprendere e gestire le pulsioni più recondite non è sostenuta dall’amore, prestarsi può essere solo pericoloso ed umiliante.

-“Lucia y el sexo”, regia Julio Medem, con Paz Vega, Tristàn Ulloa, drammatico/romantico,
Francia/Spagna 2001.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
Una complicata storia d’amore, di morte, ma anche di resurrezione. Attorno a Lucia, una cameriera, e al suo fidanzato, uno scrittore, ruotano altri personaggi che incontrano per varie coincidenze del destino. Alla fine, su un’isola, verranno messe a fuoco le dinamiche e i lati oscuri che avevano messo insieme le varie coppie.
Anche in questo film come già in Tutto su mia madre, Together e Le fate ignoranti si mette in evidenza come
una capacità di amare nuova e matura possa far sentire tutti i personaggi, legati da un comune filo d’amore, non rivali gli uni agli altri, ma immersi e partecipi di un unico flusso dentro il quale l’unicità dei rapporti viene anche in questo film tacitamente messa in discussione, così come anche il significato del sesso.
Il motore della storia, infatti, è essenzialmente il sesso, ma qui (contrariamente a Intimacy e Una relazione privata) il sesso è unito all’amore.
Anche in questo film come in Intimacy particolari anatomici, e non più solo femminili, e orgasmi vengono messi in scena senza malizia né falsi pudori, ma abbinandoli in tutta la loro naturalezza all’amore ed alla dolcezza. Il sesso viene così raccontato in modo esplicito, ma senza malizia e finalmente elevato dal luogo limitante della pornografia in cui il cinema finora l’aveva relegato.
Una storia surreale che è un inno alla vita ed al sesso, vissuti in modo spontaneo e naturale.
Il sesso è solo una delle dimensioni dell’essere umano e oggi, contrariamente al passato, viene riconosciuto come il punto di partenza, non più di arrivo, di una relazione che si fortificherà in seguito.
Il film fornisce, come già altri hanno fatto, uno spiraglio sul futuro dell’amore, del sesso e delle nuove relazioni, con una storia che, anche se diversa, scorre parallela a quella del libro di Paolo Coelho Undici minuti, uscito, non a caso, nello stesso anno. Ambedue utili messaggi soprattutto per i giovani, ma non solo.

-“Kinsey”, con Liam Neeson, Laura Linney, regia di Bill Condon, storico, USA-Germ. 2004.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sull’emancipazione sessuale e le sue confusioni)

Il film racconta la vita privata e professionale del biologo USA Alfred Kinsey che nel 48 con le sue pubblicazioni sul sesso degli uomini e delle donne diede il via alla rivoluzione sessuale, con tutte le sue difficoltà e contraddizioni, teorizzando la separazione tra sesso ed amore.
Un’ utile testimonianza sul periodo dell’avvio della rivoluzione sessuale e, con essa, di tutti gli equivoci ancora in atto.
A tutt’oggi una vera rivoluzione sessuale non è stata ancora compiuta e in materia di sesso si è ancora tutti analfabeti.

-“Bella di giorno” (Belle de jour), con Catherine Deneuve, Jean Sorel, Michel Piccoli, regia di
Luis Buñuel , drammatico, Fr.-It. 1967.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sulle perversioni femminili nascoste e il percorso per comprenderle e trascenderle)

Il film racconta le difficoltà sessuali femminili e le nascoste perversioni di una moglie di un medico, che di nascosto si prostituisce. L’obiettivo però è quello di tentare di comprenderle, anche se tutto avviene tra senso di colpa ed ansia di espiazione masochistica.
Il tema della doppia personalità, della realtà e del sogno, del sesso e della negazione del sesso, già presente nelle storie di altri film (Eyes wide shut) sembra però in questo film non trovare spiegazione.

-“Belle Toujours” con Michel Piccoli, regia di Manoel de Olivera, drammatico, Spagna 2006.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sugli inganni dell’amore, sulla solitudine e sulle scelte che ogni persona è chiamata a compiere)

Il film rappresenta l’epilogo di Bella di giorno, ma qui la donna, rimasta vedova, si è liberata del suo inconscio masochistico, l’ha compreso e, quindi, trasceso. Avendone compreso forse l’origine, rifiuta il tentativo dell’amico rincontrato di stare nuovamente al gioco del potere maschile e della sottomissione/umiliazione.
L’ inquadratura della statua di Giovanna d’Arco all’inizio e di un gallo solo e spaesato alla fine, sembrano dichiarare la volontà del regista di fare di questo film il manifesto della recente emancipazione della donna dai giochi di potere maschili.

-“Le particelle elementari” (Elementarteilchen), regia Oskar Roehler. con Moritz Bleibtreu,
Christian Ulmen, drammatico, Germania 2006.
(CRITICA**, PUBBLICO ***)
(sul binomio amore e sesso e sul fallimento della liberazione sessuale auspicata dal movimento hippy)

Due fratellastri che si erano conosciuti da ragazzi hanno in comune solo la madre hippy che li ha fatti allevare dai rispettivi nonni paterni; hanno caratteri completamente diversi, ma non essendo stati amati, una stessa inclinazione alla infelicità.
Quando si rincontrano da grandi uno è diventato un importante ricercatore di genetica ed è sessuofobo e rifugge da ogni contatto fisico, l’altro è insegnante ed è invece erotomane, malato di sesso.
Mentre il primo si lascerà andare all’amore con una vecchia compagna di scuola, il secondo avrà una intensa relazione sessuale con una donna new age, ma il sesso per tutti e due, in modo diverso, diventerà un problema, per i problemi fisici in cui incorreranno le due donne.
Il film descrive l’attuale generazione e riflette sulla sessualità nei nostri giorni e sulla liberazione sessuale auspicata dai loro genitori hippies. In realtà tale liberazione non è avvenuta perché la sessualità, separata dall’amore, è divenuta per la maggior parte delle persone un condizionamento negativo più che una fonte di piacere. Il film non trae conclusioni, pone solo un importante interrogativo e invita a riflettere.

6) Ripartire da sè


-“La finestra di fronte” regia Ferzan Ozpetek, con Giovanna Mezzogiorno, Massimo Girotti,
Raoul Bova, drammatico, Italia 2002.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(la crisi come occasione di crescita personale)

Una storia che racconta il malessere della protagonista che, come accade a molte altre donne, crolla sotto il peso del lavoro e della gestione famigliare rimpiangendo i tempi dei sentimenti e delle passioni.
Avvia così una analisi di se stessa che la porterà a un nuovo equilibrio che avrà effetti positivi anche sulla sua relazione.
Il film dimostra come le crisi, quando diventano occasione di analisi anche su di sè e non si limitano alla colpevolizzazione ed al vittimismo, possano essere momenti di crescita personale e delle relazioni.

-“Pane e tulipani”, regia Silvio Soldini, con Licia Maglietta, Bruno Ganz, commedia, It.-Svizz.
2000
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sui sentimenti personali)

Un’ altra donna logorata dalla gestione famigliare e priva di riconoscimento. In questo caso la protagonista coglie l’occasione di essere stata dimenticata all’autogrill per evadere. Lascia infatti la famiglia e se ne va a Venezia dove proverà una vita e una nuova relazione che sarà l’occasione per rinascere a vita nuova anche tornando in famiglia.
Un film che evidenzia la necessità, soprattutto per le madri di famiglia, di non annullare totalmente la propria identità di lasciarsi degli spazi di autonomia; per essere brave madri e mogli non è necessario il martirio, ma l’equilibrio e una identità forte al di là del ruolo che si ricopre.

7) Riemergere dalle ferite


-“Alice non abita più qui” (Alice Doesn’t Live Here Anymore), regia Martin Scorsese, con
Hellen Burstyn e Alfred Lutter, drammatico sentimentale, Usa 1975.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(un ritratto di donna coraggiosa)

È la storia di una donna che, rimasta vedova con un figlio dodicenne parte per un viaggio on the road per tornare al suo paese di origine; nel viaggio si mantiene tornando a fare la cantante, la professione che già faceva prima di sposarsi.
Dopo varie disavventure troverà ancora l’amore.
Il film narra della forza e creatività del “sesso debole” e della possibilità di rinascere anche dopo il lutto.

-“Stregata dalla luna”, regia Norman Jewison, con Cher,Nicolas Cage, commedia, Usa 1987.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sulla paura d’amare ancora, dopo una ferita)

Anche questa è la storia di una giovane vedova italo-americana che vive nel quartiere Little Italy di New York, dove la cultura della famiglia meridionale sembra resistere a tutto e che, dopo varie indecisioni, troverà ancora l’amore.
Film sulla paura d’amare e sulla possibilità di rinascere dalle ferite in seconde nozze.

-“Soffio”, regia Kim Ki-duk, con Chang Chen, Park Ji-a, (drammatico, Corea del Sud 2007.
(CRITICA *** , PUBBLICO *** )
È la storia di una coppia in crisi, e del tradimento e ribellione della protagonista che vede il suo desiderio di donare amore frustrato da un marito superficiale e maschilista. Decide così di donarlo a un condannato a morte che vive nel rimorso di aver ucciso moglie e figlio. Il film termina con un vissero felici e contenti più maturo perchè costruito sulle precedenti sofferenze e incomprensioni e su una nuova possibilità di incontro tra uomo e donna.
Il film apre uno spiraglio sul futuro delle relazioni facendo comprendere che, se prima il matrimonio (simboleggiato da una camicia che vola dal balcone) alla prima crisi lo si buttava via, oggi forse, un’acquisita maturità permette di recuperarlo.
Un film che parla attraverso i silenzi.

8) Sull’anima e sull’amore dopo la vita

-“21 grammi” (21 Grams), regia Alejandro Gonzalez Inarritu, con Sean Penn, Benicio Del
Toro, drammatico, USA 2003.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sull’anima, sul destino e il libero arbitrio)

Un miscuglio di amore, vendetta e redenzione unisce tre personaggi legati da un tragico incidente. 21 grammi è il peso che si perde quando si muore, forse è il peso dell’anima?
Un film che, nel racconto di una storia di agonia e rinascita, pone un interrogativo sulla dimensione spirituale, domandandosi quanto della nostra vita è già scritta (le coincidenze forse non sono solo coincidenze) e quanto è lasciato a noi decidere.

-“Al di là dei sogni” (What Dreams May Come), regia Vincent Ward, con Robin Williams,
Cuba Gooding Jr, fantastico, USA 1998.
(CRITICA **½, PUBBLICO ****½)
(sulle anime gemelle e sull’amore oltre la vita)

Alcuni anni dopo l’incidente in cui ha perso i figli e dopo il suicidio della moglie, che non ha saputo consolare, un medico muore e in un fantastico al di là comincia la ricerca della moglie. Lei gli parla attraverso i suoi quadri, le due anime sono così gemelle che si sentono ed alla fine si rincontreranno.
Un film che affronta in modo fantastico il tema delle anime realmente gemelle e dell’amore dopo la vita.

9) Le nuove coppie: insieme liberi

-“L’amore è eterno finchè dura”, regia Carlo Verdone, con Carlo Verdone e Giulia Morante,
Commedia, Italia 2004.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(le nuove relazioni basate sulla reciproca autonomia)

Cacciato di casa più per un tentativo di evasione che per un tradimento vero e proprio, il marito, ospite di una coppia di amici, vagabonda qua e là per tentare di costruire inutilmente un nuovo rapporto, mentre la moglie subito si riaccasa.
Solo alla fine riuscirà a stabilire una relazione seria con la ragazza dell’amico. 
Il film evidenzia come le crisi e le tensioni che pensiamo private sono di fatto ormai luoghi comuni, così comuni da diventare comici. Suggerisce così di prendere tutto con più leggerezza. Un fallimento può essere l’occasione per darsi spazio e saper rimettersi in gioco, per provare nuove emozioni. Suggerisce inoltre che nelle nuove relazioni, basate sulla reciproca autonomia psichica ed economica, lo spazio diventa un fattore determinante e bisogna saper sentirsi insieme senza essere sempre necessariamente vicini e vivere sotto lo stesso tetto. Bisogna sentirsi né troppo vicini, né troppo lontani. Lo spazio domestico diventa così la materializzazione del nuovo bisogno di autonomia, meglio vivere in due case separate con le cose un po’ qua e un po’ là, che asfissiarsi reciprocamente e cambiare partner per non sopportazione della coabitazione.

10) Per una nuova cultura dell'amore (contro l'amore romantico)



Lei, un personaggio dolcissimo - lo si capisce poco per volta - ha una sola motivazione nella sua vita ormai distrutta: quella dell’amore per suo figlio. A tutti costi deve farselo riaffidare dai servizi sociali che glielo hanno tolto e per questo ha la necessità di sposare qualcuno, non ha importanza chi sarà quello che risponderà al suo annuncio matrimoniale.
Lui invece, un semplice pescatore, vuole una moglie perché a una certa età si usa così, una persona con la quale condividere la vita.

Non sono molti i film che raccontano una storia d’amore fuori dagli schemi dell’amore romantico; questo è uno dei pochi utile per sviluppare una controcultura dell’amore.
Non è infatti la storia di una grande passione, ma di un incontro che nasce dall’esigenza di una reciproca necessità di avere una persona da sposare.
Tolte tutte le sovrastrutture dell’amore romantico e della passione carnale, rimane solo l’incontro profondo tra due anime semplici e disperate.
Lei è abituata a rapportarsi con gli uomini solo con il sesso, è solo quello che loro in genere vogliono da lei. Appena uscita dal carcere per un delitto, probabilmente non commesso, a cui il film appena accenna, “compra” persino un giocattolo per il compleanno di suo figlio concedendosi a un venditore ambulante. E’ una persona distrutta, non ha piu’ dignità, vive solo per riavere suo figlio; con un Ego a pezzi non ci sono le basi per una grande passione, che invece dell’Ego si alimenta.
Lui è un uomo semplice, ma un uomo vero, un uomo temprato dalla dura vita in mare. Per lui il sesso viene dopo, prima viene l’intesa, che sa essere indispensabile per condividere una vita insieme.
Le passioni sono frutto dell’Ego e pertanto caduche, mentre l’amore vero è oltre, molto oltre le emozioni, esso è equilibrio, profondità, accettazione senza condizioni, è duraturo ed è il risultato di uno spessore interiore e di una maturità personali acquisiti non senza prezzo, come nel caso dei due personaggi del film.
Un film che fa pensare quindi a come i matrimoni combinati di una volta o forse anche quelli odierni combinati da agenzie matrimoniali, quando basati sul rispetto e sulla reciproca accettazione possano essere forse più duraturi di quelli che scaturiscono dalle illusioni dell’amore romantico, dalle errate aspettative che impediscono, di fatto, quasi sempre di vedersi e di accettarsi per quello che si è.

Uno splendido esempio di "amore senza essere innamorati" (R.Barthes "Frammenti di un discorso amoroso)




11) Empatia: al di là delle parole, l’eros dell’anima

-“Lost in translation. L’amore tradotto”, (Lost in Translation), regia Sofia Coppola, con Bill
Murray, Scarlett Johansson, sentimentale, USA 2003.
(CRITICA ***, PUBBLICO ***)
(esistono mondi differenti che richiedono il silenzio per dirsi)

Un divo della tv americana sul viale del tramonto si incontra in un albergo a Tokyo, dove è andato per girare lo spot di un whisky, con una ragazza carina, trascurata dal marito fotografo di moda e delusa del suo rapporto perchè il marito sembra preferire a lei il lavoro. Lui soffre di insonnia, lei è sempre sola, iniziano così a farsi compagnia girando per la città e senza conoscere la lingua. Parlano poco, ma tra i due accade qualcosa, un’intesa a livello dell’anima.
Il film non racconta una storia, ma uno stato d’animo che le parole non riescono a dire; si perde sempre qualcosa dell’intensità vissuta quando si cerca di tradurla in parole. Lo straniamento di chi si trova in un Paese di cui non conosce la lingua è metafora dell’umana solitudine; ma proprio perchè si è tutti soli si è simili e ciò può provocare una profonda empatia e far nascere un sentimento anche tra persone assai diverse per età. L’Eros dell’anima è più forte dell’Eros del corpo e può creare un’intimità assai più profonda di quella che si può raggiungere attraverso un rapporto sessuale; quando due anime si riconoscono non esistono limiti né di età, né di linguaggi e la comunicazione avviene al di là delle parole.

11) Siamo tutti in rete

-”Babel”, regia Alejandro Gonzalez Inarritu, con Brad Pitt, Cate Blanchett, drammatico, USA
2006.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sulla rete della vita, la solitudine ed il dolore umano e le difficoltà di comunicazione)

Il film racconta una catena di eventi e coincidenze che legano le vite di alcuni personaggi in diverse parti del mondo.
Il dolore umano, che nasce da relazioni e famiglie che non funzionano, è come un’onda che si propaga e coinvolge tutti.
La consapevolezza di essere tutti in rete e l’empatia per la sofferenza altrui è l’unico modo per uscire dalla solitudine e per non sentirsi più stranieri.